La morte: fenomenologia della grande paura

Mag 19, 2024

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La grande paura degli esseri umani è la morte, passaggio di stato che ha inquietato in tutte le epoche senza provocare il terrore dei nostri giorni.
Il timore del nulla, del buio eterno, della perdita degli affetti e delle cose conosciute è caratteristico del tempo della dissoluzione, dove la morte è vissuta come la fine di tutto.
La morte viene occultata alla vista degli altri, si muore in solitudine nelle corsie degli ospedali, lontani dalla casa dove si è vissuti e dagli affetti dei propri cari.
Un processo di rimozione collettiva dovuto come tutte le difese psichiche ad un’angoscia insopportabile.
Chi muore viene isolato sterilizzando un momento fondamentale dell’esistenza, annullando la forza dell’unico evento potente come la nascita.
Chi lascia questa dimensione caratterizzata dalla densità della materia per un’altra dove l’involucro fisico non serve più è abbandonato senza il naturale rituale di commiato.

Nel secolo scorso si accompagnavano ancora i morenti, i familiari si stringevano loro intorno e nei paesi del Sud la Misericordia o Confraternita della Buona Morte li scortava nel viaggio verso l’eternità.
Come nel Buddhismo tibetano la liberazione dalla ruota del samsara, il ciclo di morte e rinascita, è favorita dal rituale funebre.
Fondamentale cerimonia di passaggio cancellata dalla cultura del vuoto e dell’egoismo, dove ognuno è abbandonato nel momento assoluto del cambiamento di stato.

La società nutritiva del capitalismo terminale priva di ogni valore sacrale, abbandonata ogni fede e pratica religiosa, si è attaccata morbosamente alla vita biologica dimenticando il fine ultimo: la trascendenza.
La prova karmica dell’esistenza è divenuta un mero passaggio verso il nulla, la fine della vita nell’annullamento della morte fisica.
Dalla nascita del capitalismo nel borgo medioevale l’accumulo di capitale diviene un inconscio esorcizzare la paura della morte, nell’illusione di una continuità eterna data dal possesso.
Dall’essere all’avere si compie la prima caduta verso il subumano, perdita di consapevolezza dell’origine divina per sprofondare nella bruta materialità.

Nelle civiltà classiche la morte era invece considerata l’entrata in una nuova dimensione, un passo del cammino verso il ritorno all’origine del Tutto.
L’immersione in stati alterati di coscienza, retaggio della spiritualità sciamanica che si perpetuò anche nella religiosità prisca di Roma, rese abituale la frequentazione dell’aldilà durante la vita.
Non solo negli stati di meditazione profonda delle filosofie spirituali induiste e buddhiste, ma anche nell’alchimia medievale ed in tutte le scuole iniziatiche la morte viene vissuta durante la pratica magica.
I riti di passaggio delle società tradizionali erano morti simboliche, per giovani, guerrieri, fanciulle, che morendo alla vecchia vita acquisivano una nuova dignità.

Ora i misteri femminili sono scomparsi, le donne sono abbandonate a se stesse e devono assumere ruoli maschili per l’inettitudine di uomini deboli.
Così come le corporazioni di mestieri con le loro cerimonie iniziatiche, le scuole militari con i rituali guerrieri e le confraternite studentesche con le prove di coraggio.
Ogni immersione nel buio della morte corrispondeva alla rinascita nella luce, il superamento della paura, della fatica e del dolore determinavano la rinascita.
Per gli antichi e per gli esoteristi contemporanei la morte è solo un’altra dimensione, una vita dopo la vita, un luogo conosciuto che non incute paura.

Nonostante il terrore della morte questa società desacralizzata è morente, non nascono più bimbi e presto saremo definitivamente sostituiti da popoli giovani e vitali.
La cultura dominante è mortifera, l’aborto da diritto diviene dovere per decimare i popoli del vecchio continente e per l’immenso giro d’affari delle interruzioni di gravidanza.
L’eutanasia da gesto di estrema pietà per casi di sofferenza insopportabile diventa mezzo di eliminazione di anziani, depressi, malati cronici, di coloro che non sono più sfruttabili dal Sistema.
Per esorcizzare la morte la si vuole dominare ed eliminare come quando si schiaccia un insetto repellente che incute istintiva paura, dimenticando che Thanatos è un archetipo dell’inconscio collettivo presente nell’Assoluto.

Nel patetico tentativo di sfuggire alla fine della vita biologica si medicalizza l’esistenza, rendendo tutti pazienti cronici da inoculare con pericolosi farmaci dagli effetti collaterali devastanti.
Per incrementare i guadagni le multinazionali del farmaco investono sulle persone sane trasformandole in malate.
La soglia dei valori degli esami clinici viene fraudolentemente abbassata o alzata per prescrivere medicinali inutili e nocivi a chi non ne ha assolutamente bisogno.
La speculazione annulla ogni scrupolo morale anche quando è a scapito della salute, si decide chi è sano o malato per i loschi interessi del grande capitale farmaceutico.
Le limitazioni della libertà e gli abusi giuridici che sopportano i cittadini trattati come cavie non sono provvedimenti dello Stato Etico, mancando assolutamente l’Ethos, lo stile.
Lo Stato Etico hegeliano realizza teoricamente il bene comune, mentre il capitalismo terminale che prospera sulla sorveglianza e sul profitto produce esclusivamente il proprio interesse.

Questa società profondamente malata teme più di ogni cosa la morte invece della giusta vergogna.