Interrogarsi sul rapporto che intercorre tra principio e contingenza, tra volontà e realtà e di conseguenza porre lo sguardo sulla storia e sul senso che si vuole dare al suo divenire è il passaggio primario nella costituzione di un’idea del mondo. L’interpretazione dell’evoluzione storica del pensiero politico e della nascita dei diversi regimi parte proprio da come si valuta questo rapporto: si potrebbe affermare per esempio che siano stati precisi fattori storici a determinare un cambiamento in grado di rivoluzionare la realtà politica e sociale, oppure credere nel primato delle idee e che esso vada spiegato come il frutto di una mutazione strutturale nell’uomo, diversamente come la manifestazione storica di un principio o quale opera di un complotto, ed anche come insieme di tutto questo.
Un esempio di un’analisi volta ad individuare dei fattori scatenanti in grado di spiegare la nascita di determinate configurazioni socio-politiche, è offerto dallo studio politologico di Lipset e Rokkan sulle famiglie di partito. [1] Sintetizzando estremamente questa teoria, dalle due maggiori rivoluzioni avvenute tra XIX e XX secolo (Nazionale ed industriale) si fanno derivare quattro fratture sociali principali (cleavages), queste conducono ad una polarizzazione politica espressa dalla formazione di partiti. La prima rivoluzione , agli inizi del 1800 a seguito del processo di centralizzazione avrebbe creato le due fratture centro-periferia e stato-chiesa, da cui la nascita di partiti regionalisti, linguistici e conservatori religiosi, cristiano democratici, la seconda alla fine del secolo con lo sviluppo e la diffusione dell’industrializzazione, lo scontro città-campagna che produrrà la nascita di partiti agrari e contadini ed infine il conflitto datori di lavoro-lavoratori che partorirà ovviamente partiti dei lavoratori, socialisti e laburisti (la nascita del partito comunista viene collegata ad un’altra frattura interna alla sinistra). I due proseguono, con questa spiegazione fino alla politica contemporanea spiegando la formazione dei partiti di protesta, neo-populisti e di ‘’estrema destra’’ come effetto della frattura società aperte-chiuse avvenuta a seguito della globalizzazione. Lo schema è semplice, un determinato processo causante dei cambiamenti delle condizioni di vita porta a galla delle istanze nuove che concorrono antagonisticamente creando polarizzazione politica.
Ora, questo approccio va bene per lo scopo che aveva, ossia collegare fatti storici e comprendere la nascita di ‘’domanda politica’’ e i suoi rappresentati, ma se si volesse comprendere la genesi dei processi rivoluzionari e quindi delle ‘’fratture’’ nei loro presupposti primari sarebbe forse necessario andare più a fondo. Possiamo qui prendere ad esempio la nascita e lo sviluppo della democrazia antica descritti nel saggio ‘’La Democrazia di Atene’’ di F. Colafemmina [2], dal quale possiamo comprendere che, se è vero che sono le particolari dinamiche socio-economiche dell’Atene del VI/V secolo a partorire lo scontro tra elites mercantili e aristocrazia fondiaria, che vedrà le prime allearsi con il demos per mezzo di una convergenza diffusa di interessi e a cercare la legittimazione nel plethos, a tutto ciò è sotteso un mutato approccio all’idea di gerarchia, di diritto e di rapporto con il sacro che costituirà la cifra del successivo sviluppo e del compimento democratico nella trasvalutazione dei valori tradizionali. E’ importante quindi riconoscere che prima del formalizzarsi di una volontà politica come risposta ad una realtà esterna, esiste un processo che inerisce al modo di intendere il mondo, e questo non può essere ridotto ad esclusivo prodotto di fattori storici concreti, che finiscono poi per essere addirittura elevati ad indici di dignità o accettabilità per le idee stesse. Vale qui la massima:
«Non esiste la Storia, entità misteriosa scritta con la lettera maiuscola. Sono gli uomini finchè sono davvero uomini che fanno e disfanno la storia; lo storicismo è più o meno quello che negli ambienti di sinistra si chiama il progressismo ed esso una sola cosa vuole, oggi: fomentare la passività rispetto alla corrente che s’ingrossa e che porta sempre più giù.» [3]
Un’autentica visione del mondo (quindi non un’istanza politica) nasce anzitutto proprio da una concezione dell’uomo, e una vera rivoluzione non può che avere come suo centro proprio la trasformazione della qualità umana. Ma questa a ben vedere è una volontà assoluta, la quale può riconoscere nella contingenza del particolare quadro storico in cui gli uomini che se ne fanno portatori vivono, il suo campo d’azione e qualcosa con cui ‘’fare i conti’’ ma non di certo la causa ultima del suo sussistere.
Ecco quindi che, passando dal piano descrittivo a quello normativo, si pone necessario uno sguardo sul presente che tenga conto di questa libertà realizzativa di un principio ed allo stesso tempo della necessaria interconnessione con le condizioni della realtà. Tutto questo potrebbe apparire fin troppo scontato per chi abbia fatto propri gli imperativi ideali delle forze dell’ultima rigenerazione europea e che potrebbero essere sintetizzati nelle parole di C.Z. Codreanu «Non programmi elettorali, ma uomini nuovi», è tuttavia interessante poter comprendere come, mediante l’approccio suddetto, tali prospettive possano collocarsi nell’orizzonte odierno.
La realtà in cui ci troviamo a vivere è quella della post-modernità, in un tempo che ha come sua specifico elemento la ‘’liquidità’’[4], ossia la totale instabilità che il progressivo sgretolarsi delle istituzioni valoriali e sociali (già putrescenti) comporta, generando la perdita di qualsiasi tipo di ancoraggio identitario. Il primato delle logiche dell’economia neo-liberista incontrano un nichilismo sistematizzato che travolge ogni forma data. L’individualismo impera nella sua forma più pura: una volta superato il collettivismo con la rimozione dei catalizzatori economico-sociali mediante il benessere del mondo globalizzato, dall’egualitarismo che è suo presupposto, ha attuato una più compiuta massificazione tramite l’elezione a principio ‘’dell’ideale animale’’ con l’emersione dell’istintualità desiderante quale sostanza del soggettivismo. Così, in questa precarizzazione semantica, tutto viene rimesso all’autoctisi sublunare dell’individualità fluidificata. Ed è in questo contesto valoriale che si concretizzano nuove forme di dominio come il controllo sociale tecnocratico e il ‘’potere strumentalizzante’’ del capitalismo della sorveglianza messo ben in luce da S. Zuboff [5], in grado di accedere profondamente, tramite sterminate banche dati contenenti il ‘’surplus comportamentale’’, alla sfera privata e di intervenire direttamente sulla dimensione psico-fisica dell’uomo, orientandone gli interessi per asservirli alle logiche del consumo e alterandone anche facoltà primarie come l’attenzione e la concentrazione.
Dal quadro descritto, la natura illusoria di «Una lotta puramente politica e circa il potere dell’una o dell’altra formula o sistema, cui non faccia da precisa controparte una nuova qualità umana» si palesa in tutta la sua chiarezza ed ecco quindi riaffacciarsi quella riflessione che una vera visione del mondo deve porsi, prima di ogni ragionamento politico, analisi geopolitica e volontà di potenza. E’ insomma una ‘’frattura’’ ben più profonda e radicale quella che oggi forse è necessario individuare, ‘’uomo-nulla’’ potrebbe essere definita, un nulla che pervade l’interiorità prima di avanzare all’esterno, «Il deserto cresce: guai a colui che cela deserti dentro di sé!» ammonisce Zarathustra. [6]
E’ precisamente su questo campo che emerge con potenza il principio del ‘’Cavalcare la tigre” rinnovato di primalità. Questa formula, abbastanza inflazionata va detto, è stata intesa maggiormente nella sua applicazione esterna ed ha assunto nell’immaginario comune (almeno secondo l’esperienza di chi scrive), l’idea della necessità di assumere una sorta di atteggiamento attivo di fronte agli eventi e di non subirli passivamente; il suo significato e ciò che è sviluppato nel celebre testo di Julius Evola è tuttavia qualcosa di ben diverso. Scrive l’autore in merito al principio del cavalcare la tigre proprio nella sua applicazione al mondo esteriore «Il suo significato eventuale può allora venire precisato nei seguenti termini: quando un ciclo di civiltà volge verso la fine, è difficile poter giungere a qualcosa, resistendo, contrastando le forze in moto. La corrente è troppo forte, si sarebbe travolti. L’essenziale è non lasciarsi impressionare dall’onnipotenza e dal trionfo apparente delle forze dell’epoca…Non bisogna dunque fissarsi al presente e alle cose vicine, ma aver anche in vista le condizioni che potranno delinearsi in un tempo futuro. Allora il principio da seguire de seguire può essere quello di lasciar libero corso alle forze e ai processi dell’epoca, mantenendosi però saldi e pronti ad intervenire quando ‘’la tigre, che non può avventarsi contro chi la cavalca, sarà stanca di correre». [7]
Tuttavia è il valore interno, ciò che precede questo approccio alla realtà, su cui qui ci interessa soffermarci, ossia il presupposto di una condizione umana diversa, di una presenza a sé stessi e di un centro nel proprio Io che compia l’autenticità dell’essere un uomo (differenziato). E’ questo l’oggetto del capitolo ‘’Nel mondo dove Dio è morto’’ in cui mediante la rilettura critica dei temi Nietzschiani, dall’autonomia nel dare a se stessi la propria legge, dall’essere e divenire se stessi in un mondo come quello definito dal titolo, si profila il compimento di una volontà unificatrice che consenta una condizione di coscienza attiva nei confronti della realtà diveniente. Non si vuole qui assolutamente fare l’esegesi del testo, ma ‘’prendere’’ questo concetto primario ed evidenziarlo con forza come necessario presupposto per ogni via attiva dinanzi al flusso della realtà, come un richiamo allo sguardo interiore e alla condizione reale dell’uomo chiamato a confrontarsi con i processi della storia, un’idea che potrebbe essere assimilata in un certo senso a quella jüngeriana di ‘’Passaggio al Bosco’’ [8], di una primaria ribellione interiore in grado di operare un risveglio, e che forse oggi, nell’era della tecnica, può fornire lo spunto per una domanda fondamentale che ponga gli occhi sul soggetto prima che sull’azione per l’affermazione di una nuova Weltanschauung.
In conclusione si potrebbe dire che la volontà aristocratica che conduce alla libertà creatrice del fanciullo zarathustriano , non può che trovare come suo presupposto proprio una focalizzazione sulla ‘’materia prima’’ che nell’uomo subisce la metamorfosi e quindi sulla condizione o esistenza stessa di uno ‘’spirito’’ nell’uomo odierno, è da questo punto fondamentale ripartire.
[1] Daniele Caramani (a cura di), ‘’Scienza politica’’, Egea.
[2] Francesco Colafemmina, ‘’La democrazia di Atene. Storia di un mito’’, Passaggio al bosco.
[3] Julius Evola ‘’Orientamenti’’, il Cerchio
[4] Zygmut Bauman ‘’Modernità liquida’’, Laterza
[5] Shoshana Zuboff ‘’Il capitalismo della sorveglianza’’, Luiss
[6] Friedrich Nietzsche ‘’Così parlò Zarathustra’’, Adelphi
[7] Julius Evola ‘’Cavalcare la tigre’’, Mediterranee
[8] Ernst Jünger ‘’Il trattato del ribelle’’, Adelphi