Come nasce e come si sviluppa l’Institut Georges Valois?
L’idea di dar vita a un gruppo di formazione su questioni socioeconomiche e nazionali deriva dalla necessità di reagire al vuoto lasciato al riguardo dalla destra francese. All’epoca, eravamo un piccolo gruppo di militanti (in gran parte realisti), e facevamo militanza da diversi anni. Dopo aver dedicato un certo periodo alla formazione politica, siamo giunti tutti alla stessa conclusione: la militanza, oggi, difetta gravemente di pensiero sociale. La maggior parte dei militanti nazionalisti in Francia ha infatti paura di alcuni termini e di certi aggettivi (sociale, popolare, ecc.), e preferisce toglierseli di torno con sufficienza; noi, invece, rifiutiamo questo oblio volontario (o inconscio), e intendiamo spingere ogni attivista a prendere coscienza della necessità del benessere del nostro popolo, per non lasciare che i traditori della sinistra conservino il monopolio della questione sociale. Da tali premesse, nasce il Cercle Georges Valois. All’epoca, nostro obbiettivo era essenzialmente operare in collaborazione con i monarchici francesi, tenendo conferenze e scrivendo articoli e saggi. Poi, i rapporti tra le strutture realiste e noi si sono compromessi per via di alcuni problemi, e quindi, dal Cercle Georges Valois, è nato l’Institut Georges Valois, per rinnovare l’immagine della nostra battaglia. Da allora, cerchiamo di collaborare con chiunque ancora si preoccupi per il destino del nostro popolo, formando una nuova generazione militante tramite conferenze, quaderni di formazione e ogni altro mezzo utilizzabile.
«Senza sociale, non c’è nazionale; senza nazionale, non c’è sociale». Quale pensate sia l’eredità culturale e politica più significativa di Georges Valois e del suo Faisceau?
Un retaggio sociale, senza dubbio. La creazione del Faisceau da parte di Valois, dopo la sua uscita dall’Action Française, è frutto di una reazione profondamente sociale: Valois, infatti, rifiutava radicalmente il conservatorismo borghese di Charles Maurras. Valois era ben consapevole che la paura di non piacere ai ricchi padroni e ai borghesi portava ad abbandonare le classi popolari, ed è per questo che egli preferì ispirarsi al Fascismo italiano, con l’idea di far capire al popolo francese che solo un movimento “di strada”, popolare e guidato da un uomo di polso, poteva spezzare le catene che il capitalismo liberale aveva imposto ai francesi. Valois resterà fedele alla sua visione sociale, e abbandonerà il Faisceau al suo rendersi conto che questo attirava ormai in gran numero borghesi e figli di padroni alla ricerca d’un po’ di azione, ovviamente desiderosi di curare il proprio interesse.
Quali nuove prospettive v’immaginate, per la Francia e l’Europa intera, alla luce dell’ideale socialista-nazionale, soprattutto in questa fase di crisi politica, economica e spirituale?
Abbiamo sotto gli occhi un forte bisogno di comunità, in crescita in Francia e in Europa. Non c’è niente di più normale, in fondo, dinanzi al multiculturalismo imposto dalle democrazie liberali schierate a difesa del proprio tornaconto, accanto ai grandi padroni che, a loro volta, sono instancabilmente in cerca – con l’aiuto della sinistra immigrazioni sta – di manodopera a basso costo e sfruttabile. I potentati delle nazioni liberali, sottomesse all’Unione Europea e agli USA, tentano di schiacciare gli ultimi tratti identitari e i residui frammenti d’indipendenza dei popoli europei. È quindi necessario far ritorno a comunità che si aiutano a vicenda, con microsocietà solidali e militanti all’interno di ognuna di esse. La chiave per una riconquista politica e culturale sarà necessariamente lo sviluppo di tali comunità organizzate. Realtà del genere sono già presenti in strutture militanti di tutta Europa, e non possiamo che rallegrarci nel vedere che un po’ ovunque nel continente continuano a formarsi gruppi di persone desiderose – nonostante tutto – di identità e comunità. A differenza degli ambienti militanti veri e propri, i principi che dovrebbero reggere ciascuna di queste comunità sono l’autogestione e il decentramento: la crisi del COVID ne è un esempio eclatante, con decisioni valide su tutto il territorio nazionale prese senza conoscere la situazione locale, da gente laureata dopo 10 anni di studio a Parigi che sceglie per l’agricoltore che vive dall’altra parte della Francia. Noi crediamo il diretto interessato sia anche il più adatto ad aver voce in capitolo negli affari della propria comunità, che siano legati al lavoro o ad altro. Per l’ambito spirituale, il compito è abbastanza complicato, perché ogni popolo possiede le sue proprie radici, e lo sviluppo storico e politico delle nazioni ha fortemente influenzato il campo religioso. Se prendiamo l’esempio della Francia, la Repubblica nata dalla Rivoluzione ha tentato di creare una religione repubblicana, quella dell’Uomo cittadino, predicando ovunque “Libertà, Uguaglianza, Fraternità”», e celebrando persino dei battesimi repubblicani, ma la Storia dimostrerà che una religione non si costruisce con l’Uomo come base. Prova ne è il fatto che l’anti-cattolicesimo della Repubblica ha lasciato piuttosto il posto all’Islam, e non al repubblicanesimo. A titolo personale, non possiamo che raccomandare la lettura di Evola, Guénon e C.G. Jung, poiché il tema della Tradizione è capitale nella nostra epoca, caratterizzata da uno smarrimento generale di valori e ideali. Per concludere, ritengo sia fondamentale che le comunità si sviluppino e si aiutino a vicenda, fronte a un obiettivo comune: far sopravvivere la nostra identità e il nostro popolo attraverso un’economia sociale e solidale, fondata sul ritorno alle nostre radici e sulla ricerca personale di un fine superiore.
Alcuni di voi sono “bouquiniste” sui lungosenna, custodi di una tradizione culturale parigina emblematica. Perché leggere, e leggere bene, è così importante per un militante identitario?
La lettura è il secondo vettore storico di cultura dopo la via orale. Esistono innumerevoli libri su tutti gli argomenti e periodi storici, ognuno di essi più o meno approfondito. È importante leggere per sapere, di politica oppure d’altro, perché ogni militante ha le proprie sensibilità musicali, letterarie o altre ancora, e nessun medium riesce a contenere tante fonti quanto i libri. Aprire un libro significa ricevere un’eredità, informarsi su qualcosa, dimostrare il proprio valore culturale o politico. Tutto questo è ancora più vero per un militante identitario e nazionalista. Qual è la mia identità? Cos’è la mia Nazione? Anche in questo, i libri ci offrono un numero infinito di risposte, e ci dimostrano che la nostra lotta è giusta. Quindi, occorre leggere e leggere bene, e leggere bene significa leggere di tutto. Uno degli errori principali dell’attivista, indipendentemente dal suo schieramento politico, è quello di non leggere affatto. Vediamo i volti dei nostri nemici ogni giorno, apprendiamo i loro metodi, i loro simboli e i loro colori, ma sappiamo davvero cosa c’è dietro tutto questo? I militanti nazionalisti che conoscono le dottrine del nemico sono rari. È facile scorgere il viso di un uomo, ma è molto più difficile studiarne il cuore. Oltre ad arricchire la propria cultura politica, leggere significa elevarsi nella ricerca dell’altro e di sé stessi. La storia romana e la cultura italiana sono magnifiche, come è appassionante l’epopea del popolo italiano; ovviamente, quindi, il militante italiano dovrà mantenersi superiore ai propri nemici, sapendo chi sono e dimostrando che ha forza di crescere, tanto intellettualmente quanto fisicamente. Un principio valido ovunque, questo, per tutti gli attivisti identitari e nazionalisti d’Europa.