Pubblichiamo con piacere questo articolo dell’amico Ferdinando Viola, già uscito per il Centro Studi MUSE.
Nell’opera “Il fascismo come fenomeno europeo” Adriano Romualdi, oltre a dare un contenuto storico, dottrinario e coerente al fenomeno del fascismo, cosa che nel mondo della destra in quel tempo nessuno faceva, oltre a delineare la natura profondamente europea della dottrina fascista, considerata tra l’altro l’unica in grado di liberare l’Europa dalla tirannia americana e sovietica, nei primi capitoli ci fornisce un’immagine accurata del prototipo dell’intellettuale in riferimento alle sue attitudini da studioso. Prima di arrivare alla lettura del testo di Romualdi, è opportuna una riflessione.
L’intellettuale è una figura che fin dai tempi dell’illuminismo ha costituito notevole successo. Il salotto, la discussione, l’amore per il libro fine a se stesso sono tutti elementi che ancora oggi influenzano l’immaginario collettivo, nonostante l’evidente decadenza della qualità degli intellettuali, se si pensa che le istanze della sovversione marxista non siano più rappresentate da uomini del calibro di Lenin o Gramsci, ma da gente come Scurati, Raimo e Scanzi, (sempre che questi intellettuali si possano definire) e che il liberalismo, ormai in tutto e per tutto divenuto progressismo liberista o liberismo conservatore, neanche più sia in grado di produrre cultura. Eppure, che un tale fenomeno un giorno sarebbe giunto ad un livello infimo dai tratti caricaturali era ampiamente prevedibile. In effetti, l’intellettuale, credendo nel primato della ragione sull’azione, che va scissa dal pensiero, e divinizzando il libro, necessita di uno schema preimpostato, dogmatico e razionalistico, valido in ogni tempo e luogo.
Non è infatti una coincidenza che il liberalismo e il comunismo abbiano dei manuali di riferimento che assumono quasi una valenza religiosa. I detentori dell’egemonia culturale, fin dai primi tempi del dopoguerra, si affannarono a descrivere il fascismo come un incidente della storia o come un moto di puro autoritarismo privo di basi culturali, sminuendo la caratura di tutti quei pensatori che invece erano profondamente fascisti, simpatizzanti o comunque certamente antitetici alle ideologie dal fascismo combattute. Il perché ciò sia avvenuto è ovviamente dovuto a intenti censori, ma è anche causato dalla natura stessa del fascismo, la cui profonda essenza, partendo da principi metafisici e dinamici e avendo tra i suoi massimi riferimenti il culto della nazione, si manifestava in forme differenti e variabili, non racchiudibili in nessun libretto di istruzioni. Un intellettuale quindi nel senso convenzionale del termine avrebbe dovuto fare uno sforzo in più per classificarlo e studiarlo nel modo più opportuno. Nell’opera “Il fascismo come fenomeno europeo”, Adriano Romualdi, scrive quanto segue:
Lo studioso si troverà sempre più a suo agio di fronte ad un fenomeno come il Comunismo, alla cui base c’è il libro – Il Capitale -, che egli può leggere comodamente. Che poi ne “Il Capitale” sia scritto che comunismo significa abolizione dello Stato e gestione dal basso, mentre in Russia e Cina le cose sono un po’ diverse, o che il comunismo è un movimento di avanguardia della società industriale più progredita, mentre esso si regge solo in paesi arretrati, questo è un altro discorso. Ma ciò non toglie che lo studioso trovi nel comunismo “un sistema “, qualcosa di più facile da definire, mentre il Fascismo, con le sue brusche improvvisazioni, lo disorienta. A prima vista: perché in realtà basta un po’ di pazienza per accorgersi come taluni contenuti comuni i fascismi li possedettero. Il nazionalismo, la concezione autoritaria dello Stato, l’idea della collaborazione tra le classi nel quadro d’un “socialismo nazionale”, il culto di taluni valori legati alla vita militare e alla guerra (disciplina, cameratismo, spirito di sacrificio, insieme con una generica disposizione “antimaterialistica” e “antiborghese” sono costanti ravvisabili in tutti i fascismi)”.