A seguito della vittoria elettorale dello scorso novembre, il neo presidente Trump ha prestato giuramento ed è entrato effettivamente in carica. Indipendentemente dalle posizioni personali, ciò a cui abbiamo assistito è senza dubbio un momento storico ed un potenziale spartiacque per la politica americana.
Nel lungo discorso di insediamento, Donald Trump ha evocato tutti quei punti che gli hanno permesso di tornare alla Casa Bianca: si è parlato del Canale di Panama, contrasto all’immigrazione clandestina, law and order, dazi e molto altro. Ai fini di questa analisi, credo sia opportuno anzitutto dare un’identità all’elettorato trumpista. Chi sono i suoi elettori?
In campagna elettorale, Trump ha sfoderato tutto l’arsenale della cultura destrorsa americana: dal ridondante sentimento patriottico, alla questione geopolitica; dall’immigrazione clandestina, al tema della sicurezza nelle città mediante una forte politica di law and order ; dalla ripresa economica e industriale, alla politica commerciale a difesa dei prodotti americani; dal “Dio – patria – famiglia”, alla cancellazione dell’agenda woke.
Sarebbe da chiedersi come negli USA del politicamente corretto e del wokismo imperante in ogni frangente televisivo, fornito dai media nostrani, uno come Trump sia riuscito a vincere di misura sull’avversaria Harris (312 Trump – 226 Harris). La risposta arriva disintossicandosi dalla narrazione mainstream che, peraltro, dava per certa la vittoria dell’avversaria – e un po ci sperava – andando ad analizzare l’elettorato americano nascosto: non quello arcobaleno della west coast o east coast, tendente a votare democratico ma quello dell’America profonda, degli Stati interni dove l’onda “arcobaleno” si è scontrata con lo zoccolo duro della società americana, coincidente coi WASP: acronimo che indica i soggetti “White Anglo-Saxon Protestant” vale a dire l’elettorato ultra-conservatore di fede protestante.
Essi fanno parte del ceto alto bianco e costituiscono principalmente l’élite del protestantesimo tradizionale essendo i diretti discendenti delle colonizzazioni britanniche nonché i più ridimensionati nella questione razziale e sociale, non figurando più come maggioranza etnica degli USA. Insomma, una fetta della popolazione – altamente delusa – che ha visto in Donald Trump la salvezza e la rinascita del mondo bianco statunitense.
Fatta questa ampia premessa su chi sono gli elettori cui si rivolgevano principalmente i comizi elettorali del Tycoon, possiamo passare all’analisi di alcuni punti cardine del discorso di insediamento del neo eletto presidente.
Partendo dalle questioni interne, Trump ha promesso di contrastare l’immigrazione clandestina che rappresenta un problema particolarmente sentito nel versante sud del Paese, al confine col Messico. In questo senso, il neo presidente sembra avere le idee chiare, disponendo l’invio dell’esercito al confine, deportazioni di massa, lotta ai cartelli del narcotraffico – spesso responsabili delle rotte migratorie – e lavorando sull’abolizione dello Ius soli, principio secondo il cui si diventa cittadini di uno Stato semplicemente nascendo sul suo territorio. Logica che trascura completamente i valori etnici, culturali e sociali di uno Stato ma che, applicato nel contesto statunitense trovava una sua legittimazione dal momento in cui gli USA rappresentano il melting-pot etnico per eccellenza, non avendo mai avuto – o quasi – un’identità etno-nazionale ben definita. Anche qui, possiamo evidenziare un cambio di passo epocale per gli Stati Uniti.
Sul piano interno ma con risvolti sull’occidente, è senza ombra di dubbio la lotta all’ideologia woke, responsabile della svolta politicamente corretta che ha portato la popolazione bianca statunitense a doversi “auto-flagellare” per il solo fatto di essere bianchi e di conseguenza “colpevoli di tutti i mali sulla Terra”. Ho volontariamente voluto evidenziare il fatto dei risvolti sull’intero occidente in quanto gli USA, storicamente, dal secondo dopoguerra, rappresentano i trendsetter delle mode più disparate che hanno investito, nel bene o nel male, l’intero blocco occidentale. Così come il wokismo è arrivato in Europa dopo pochi anni dalla comparsa negli States, così auspico la sua progressiva “morte” attraverso le politiche di “ritorno al buon senso” che adotterà Trump.
Ora chiediamoci: è tutto rosa e fiori il ritorno di Trump alla Casa Bianca?
Vero il rafforzamento dell’asse conservatore a livello internazionale; vero anche il cambio di passo sul politicamente corretto e sulla deriva oscena del mondo “progressista” ma possiamo ridurci a questo per dire che Trump è il messia dell’occidente? E soprattutto, esiste un concetto di occidente che non sia l’estensione coloniale degli Stati Uniti?
Domande difficili a cui rispondere, pertanto mi limiterò ad evidenziare alcuni punti, potenzialmente anti-europei, del programma. Sul piano geopolitico, Trump ha promesso di mettere fine alla guerra in Ucraina, confidando di risolvere la situazione nei primi 100 giorni di mandato. E’ un’ottima notizia sapere che in poco tempo si arriverà ad un cessate il fuoco nel conflitto russo-ucraino. Ma a quali condizioni?
L’obiettivo è raggiungere una “pace giusta” e, alle condizioni attuali, significa che la Russia ha il coltello dalla parte del manico, non avendo la minima intenzione di fare concessioni al ribasso sulle conquiste territoriali ottenute col sangue dei suoi uomini, in questi – ormai – tre anni di guerra. Allo stesso tempo, condizione esistenziale affinché si possano avviare negoziati di pace, è la garanzia totale che l’Ucraina, o ciò che ne rimarrà, non aderisca alla NATO. Tuttavia, l’adesione all’Unione Europea, inserita in un ipotetico trattato di pace, non troverebbe ostilità da parte della Russia. E qui vorrei fare un ragionamento: se la Russia acquisirà a titolo definitivo la Crimea e il Donbass – cosa che ritengo condizione quasi essenziale per l’esito positivo dei futuri negoziati di pace – significherà che le risorse caratterizzanti il PIL dell’Ucraina andranno completamente in mano ai russi, determinando un peso enorme per le tasche europee in fatto di ricostruzione post bellica. Il rischio è di ritrovarsi un Paese in ginocchio spolpato delle sue risorse naturali e dei porti più importanti sul Mar Nero.
Condizione che, analizzata con gli occhi di Yalta, non è poi così malvagia: infatti condurrebbe ad una ennesima condizione di debolezza dell’Europa – e di conseguenza dell’UE – determinando altri decenni di facile controllo da parte di USA e Russia. In questo senso, l’UE paga lo scotto di non aver mai avuto una politica estera e di difesa realmente efficiente ed operativa, lasciando l’iniziativa geopolitica alla NATO e per longa manus agli USA. La condizione post-storicista dell’Europa specialmente dopo la caduta del muro di Berlino, ha portato a credere che la guerra non fosse più uno strumento geopolitico, arrivando ad economizzare pure il concetto di guerra, vedi le ridicole sanzioni che, ironia della sorte, fanno più male a noi. Oggi paghiamo le conseguenze di tutto questo lassismo.
L’America trumpiana, in questo senso, sembra andare nella direzione opposta: sfoderando i muscoli e rendendo pubblicamente note – se mai ce ne fosse stato bisogno – le pretese territoriali sullo strategico canale di Panama, evidentemente considerato essenziale per la politica imperialista dell’era Trump; la Groenlandia, considerata strategica per la rotta commerciale artica e – speriamo – dell’utopistica annessione del Canada.
Avendo analizzato più nel dettaglio questo aspetto e, lungi da me dal dispensare lezioni di geopolitica, dobbiamo chiederci quale sia una linea di valutazione oggettiva da seguire come Europei e non da zerbini a stelle e strisce.
Sicuramente, come già premesso sopra, ci sono certamente aspetti positivi ma nel complesso non possiamo considerare la vittoria del Tycoon come una Nostra vittoria; e qui rivolgo un pensiero a tutti quegli ultras politici che esultano incondizionatamente della sua vittoria, elevandolo a “salvatore della patria”. Bisogna tenere in considerazione che gli interessi americani non coincidono con gli interessi europei. Oserei dire che i nostri sono l’antitesi degli interessi yankees. Ovviamente, sono interessi contrapposti fintantoché si voglia perseguire una linea alternativa, emancipata e sovrana rispetto a quella americana; altrimenti, se ci vogliamo ostinare nel suicidio occidentalista, dobbiamo auspicarci che gli USA continuino a crescere, cosicché, all’ombra del colosso americano, l’innocua Europa possa prosperare nella sua insignificanza, vale a dire un giardino dell’Eden che non è mai esistito e mai esisterà. Rinascere Europei per non morire occidentali.
In questo scenario che ruolo può avere l’Italia?
La presenza di Giorgia Meloni – unica invitata tra i capi di Stato e di governo europei – alla cerimonia del giuramento, ovviamente lascia pensare che il ruolo italiano nella dialettica USA – UE, sia senz’altro di primo piano. E così è.
Ciò che resta da scoprire è come si evolverà questo rapporto “privilegiato”: saremo la first lady degli Stati Uniti o ci eleveremo a rappresentanti de facto degli interessi europei? In un periodo storico che mai come ora vede Francia e Germania deboli a livello politico, cosa impensabile fino a pochi anni fa. Sicuramente il futuro prossimo ci attenderà tante sfide, alle quali dovremo farci trovare pronti. Immigrazione, riarmo e politica estera, ritorno alla storia e abbandono del fatalismo che ci affligge come popolo europeo, sono soltanto alcune delle sfide maggiori che attendono di essere affrontate sistematicamente.
Nel frattempo, non resta che godere il momento di gloria della “destra” a livello internazionale, senza però dimenticare le differenze insormontabili tra Europa ed America – banalmente anche per una questione di incompatibilità geografica – e dei diversi interessi storici, politico-culturali e geopolitici che devono essere tenuti in considerazione se vogliamo perseguire l’emancipazione europea dal “dominio” – reale o teorico – di potenze straniere.
Possiamo quindi brindare alla presidenza di Trump perché poteva andarci peggio; dopo però sciacquiamo la bocca col sapone per un sano ritorno alla realtà.