Uno degli ultimi libri usciti nel 2024, è “Benito. Storia di un italiano” di Giordano Bruno Guerri, edito per Rizzoli. Non condivido l’operazione di de-fascistizzazione che Guerri compie da anni sulla figura di d’Annunzio. Dobbiamo ricordare che Guerri proviene da ambienti radicali e “pannelliani”. Se c’è un fascismo che piace a Guerri, è quello “dannunziano” di Fiume e della Carta del Carnaro, il Futurismo, il “sansepolcrismo”, insomma un fascismo che è esistito ed esiste, ma che rappresenta solo una componente di esso.
Tuttavia, apprezzo molto Guerri, non solo perché rende sempre scorrevole e piacevole la lettura dei suoi volumi, bensì, perché, proprio non essendo di formazione fascista, ma neppure demagogicamente antifascista, egli ci restituisce una ricostruzione del fascismo in modo presumibilmente imparziale (se ciò è possibile), mostrandone luci e ombre. Il libro “Benito. Storia di un italiano”, è un libro del quale io raccomando la lettura; dopo tanto aver scritto su d’Annunzio, egli si concentra finalmente sulla figura del Duce, seguendolo dalla sua nascita, le sue origini socialiste e anarcoidi, la sua successiva maturazione interventista e nazionalista, la fondazione del fascismo fino alla rovina finale. Lo racconta come personaggio pubblico e privato; non risparmia critiche ma demistifica le ricostruzioni demagogicamente negative di decenni di storia a senso unico, esaltandone le sue capacità e i suoi meriti. Ovviamente Guerri, parlando di Mussolini, parla anche del fascismo in generale. E tuttavia, tra le molteplici conclusioni contenute in questo esaustivo libro, arricchito da molte foto e documenti importanti, una spicca su tutte, una conclusione che già affiorava in suoi precedenti libri. Gli italiani nel Ventennio, furono più “mussoliniani” che “fascisti”. E questo oltre ad apparire realistico, è probabilmente il più grande limite del fascismo storico e la responsabilità fu forse proprio del Duce che concentrò su sé stesso il comando, ma non si curò, o non fu in grado di dare vita ad una classe dirigente, salvo eccezioni.
Il Msi, per quanto si possa esprimerne perplessità, si pose il problema di rivedere in senso critico e revisionista l’ideologia fascista, tentando proprio di passare dal “mussolinismo” al “fascismo”. In un documentario realizzato da Giampiero Mughini (non certo un giornalista di Destra), Mughini, nel 1980, si dedica alla narrazione dell’evoluzione dell’ambiente missino di quegli anni, e lo fa con rispetto e correttezza. Il documentario è “Nero è bello”. Tra le altre cose, in tal documentario, viene specificato che il Msi, al suo interno, era – semplificando – composto da almeno tre grandi correnti: i gentiliani, gli evoliani e i cattolici. All’epoca si concludeva che queste correnti erano incompatibili, inconciliabili tra loro, generando così divisioni e confusione dottrinale. Oggi possiamo invece affermare che l’eterogeneità di tali correnti, sia stata la ricchezza plurale delle cultura della Destra italiana e che tale eterogeneità è o dovrebbe essere ancor oggi, la linfa da cui ripartire per una Rivoluzione Conservatrice.
Compito principale del fascismo (e dovrebbe esserlo anche dei suoi eredi) è combattere lo “spirito borghese”. Tuttavia su questo punto, si è molto equivocato. Non si può confondere l’idea egualitaria e livellatrice del social-comunismo che marxisticamente anela attraverso la “Lotta di classe”, il rovesciamento della borghesia e il superamento delle classi sociali, sognando un’unica classe proletaria, egualmente povera (la Thatcher diceva che il comunismo distribuisce povertà, non ricchezza); viceversa, la Destra sociale, nazionale, partendo da Nietzsche, intende polemizzare con lo spirito borghese in nome di un ideale aristocratico, che eleva l’individuo (e la comunità) verso l’alto: non quindi livellamento egualitario, ma distinzione, differenziazione. Il fascismo non annulla le classi sociali; crea ascensori sociali, ponti di comunicazione, ma crede nella differenziazione individuale, confida nel merito, eleva al superamento della mediocrità secondo uno spirito superomistico. Non quindi il censo, la ricchezza in sé (casomai, contesta il potere politico che può essere esercitato dai poteri forti dell’economia e della finanza), ma non vede nel benessere materiale un male in sé, a condizione che la materialità sia governata dallo spirito. Il fascismo sognava una borghesia attiva, volontaria, coraggiosa, amante della lotta, del rischio, dell’audacia. Questa era la guerra che il fascismo aveva dichiarato allo spirito borghese e non alla borghesia in sé.
Tra i vari eredi dell’Msi, Fratelli d’Italia ne è ovviamente il principale protagonista, da due anni saldamente al governo e in testa come primo partito italiano. Il suo approccio, non può dirsi proprio “rivoluzionario”. Sarebbe opportuno parlare di un “Riformismo Conservatore”, e la cosa non è necessariamente negativa. Si tratta di procedere in avanti verso una modernizzazione del Paese, ma in senso conservatore, ovvero, nel solco della tradizione, creare cioè un ponte tra un Passato di valori che vanno “conservati” o, la dove sono stati divelti, “restaurati”, ma procedendo in modo graduale, attraverso una serie di riforme. Questa è sostanzialmente la differenza tra rivoluzione e riformismo. Anche il nuovo “Codice della strada” voluto dal ministro Salvini, ma ovviamente condiviso da tutta la maggioranza di governo, va in questa direzione: giro di vite su chi guida sotto l’effetto di alcol e/o droghe. Non si tratta di rintrodurre il reato di assunzione di tali sostanze in senso proibizionista, ma di stabilire un princìpio di responsabilità, senso civico e dovere nei confronti della comunità. Da quando è entrata in vigore la legge in questione, sono già calati sensibilmente gli incidenti.
È poco? Vorremmo di più? Sì. Soprattutto la politica estera troppo filoatlantica e filoisraeliana è inaccettabile (vedremo se con Trump le cose miglioreranno). Poi c’è la questione economica. Il governo, e Fratelli d’Italia, sembrano essersi fatti risucchiare dal neoliberismo di stampo angloamericano. Per adesso non ci sono tracce di quelle politiche sociali e nazionali che un partito erede dell’Msi dovrebbe portare avanti. L’equidistanza della Destra identitaria, dalle due opposte ma equivalenti forme di materialismo, comunista e capitalista, resta una battaglia da combattere, in nome di quella “concezione spirituale della vita” cara all’afascismo.