ACCA LARENTIA: QUANDO LA RICORRENZA TRASCENDE IL RICORDO PASSIVO

Gen 7, 2025

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Sono le 18:20 del 7 gennaio 1978, in via Acca Larentia, un angolo del quartiere Appio-Tuscolano di Roma, quando un commando dei “Nuclei armati per il contropotere territoriale” – con il volto coperto da passamontagna e armati di mitra Skorpion – si apprestano a compiere un vero e proprio massacro, che avrebbe inciso per sempre il nome di quella via nella memoria collettiva.

Franco Bigonzetti e Francesco Ciavatta caddero sotto i colpi del commando armato. Franco fu abbattuto all’istante, Francesco, ferito, tentò invano di fuggire, ma il destino lo attese sull’adiacente rampa di scale. Dentro la sezione, altri tre giovani si salvarono barricandosi. Negli immediati disordini seguiti alla strage, Stefano Recchioni, accorso insieme a centinaia di camerati per testimoniare vicinanza e rabbia, fu freddato da un colpo esploso da un ufficiale dei carabinieri.

Quella sera, per molti, rappresentò la frattura di ogni illusione, il punto di non ritorno. Non fu solo la violenza a sconvolgere, ma l’amara presa di coscienza di un conflitto profondo, dove ogni certezza quotidiana era infranta. Era un periodo in cui la sicurezza personale si dissolveva nell’incertezza del ritorno. In quel buio e in quella confusione, emerge una domanda cruciale: quale forza è necessaria per affrontare un mondo che sembra divorare chiunque osi sfidarlo?

Il ricordo non è un atto sterile o formale. Non può essere confinato in una data sul calendario o in gesti che, pur sinceri, rischiano di essere svuotati dalla ripetizione.
La ricorrenza di Acca Larentia deve essere un motore, un incentivo per migliorarsi, un esempio vivo nel quotidiano. La memoria si onora con l’azione, traducendo il ricordo in gesti concreti che portano avanti l’Idea, la stessa per per cui quei giovani hanno speso la loro vita.

Il ricordo è uno spazio dinamico, un ponte tra il passato e il futuro. In questo senso, la memoria di Franco, Francesco e Stefano non è solo un’eredità, ma un compito. La sfida che ci lancia e che noi dobbiamo essere pronti a cogliere è riflettere sul valore del sacrificio, sulla capacità di resistere al nichilismo, di trovare nel dolore non un pretesto per arrendersi, ma una forza trasformativa. Quei giovani vivevano per idee che andavano oltre la propria esistenza: una comunità, una verità, una giustizia, un ordine di cose, che si opponevano alla disgregazione morale del loro tempo. E oggi? Il nostro dovere è chiederci se siamo all’altezza di quella tensione morale.

Non si tratta di idolatrare un passato cristallizzato, ma di renderlo vivo, di tradurre quel sacrificio in una tensione attiva, costruttiva. La memoria che onora non è piagnucolosa, non si nutre di vittimismo. È una memoria che costruisce, che si fa strumento di educazione e riflessione, che spinge all’azione. Ricordare Acca Larentia significa vivere ogni giorno con la consapevolezza che quegli ideali non sono semplici illusioni, ma scelte quotidiane, fatte di coraggio, disciplina e passione.

In un’epoca che sembra rifiutare la profondità, dove tutto si consuma nella superficialità di un gesto, di un’immagine, di un post, il ricordo di Acca Larentia può essere un antidoto. Può insegnarci a riappropriarci del tempo, a riflettere sulle nostre radici, a comprendere che il sacrificio di quei giovani non è stato vano se diventa seme per un’azione quotidiana consapevole e coerente.

Acca Larentia ci ricorda che la memoria non è un luogo di contemplazione, ma un campo di battaglia. Ogni scelta, ogni gesto, ogni parola può essere un atto di resistenza contro l’oblio. E, forse, è proprio in questo spirito che possiamo rendere giustizia a quei ragazzi: non fermandoci al passato, ma trasformandolo in un futuro degno del loro esempio.