Alla fine l’attesa operazione via terra di Israele contro il Libano è iniziata. Netanyahu ha già cercato di tranquillizzare l’opinione pubblica dichiarando che sarà “un’operazione mirata e limitata”, parole di cui, visto quanto successo nell’ultimo anno all’interno della striscia di Gaza, si fa molta fatica a fidarsi. Non è la prima volta che l’esercito israeliano invade il territorio libanese ma, rispetto al passato, vi sono state delle grosse novità. Prima gli attacchi di metà settembre coi quali sono stati uccisi 11 militanti di Hezbollah e feriti circa 3000, con un metodo hi-tech che si è servito dei cercapersone in dotazione ai soldati sciiti per poterli colpire indisturbati e a colpo sicuro. E poi, soprattutto, l’uccisione del capo politico di Hezbollah, Hassan Nasrallah, da sempre nemico acerrimo di Israele e quindi da sempre sottoposto a rigide misure di sicurezza per garantirne l’incolumità personale. Tanto è vero che, dopo il suo assassinio, la Guida Suprema dell’Iran, Kamenei, nonostante abbia dichiarato di voler rispondere all’attacco di Israele, è stato immediatamente trasportato in una località segreta. Decisione presa a seguito dell’evidente forza dell’intelligence israeliana nel saper colpire anche gli obiettivi apparentemente più difficili.
Ma è proprio qui che sorge una domanda spontanea: com’è possibile che Israele sia stato colto di sorpresa dall’attacco di Hamas del 7 ottobre scorso e oggi, a solo un anno di distanza, si dimostri così forte dal punto di vista dell’intelligence? A pensar male, si potrebbe credere che l’azione di un anno fa sia stata volontariamente lasciata andare fino in fondo. A qualcuno potrà sembrare strano che uno Stato sia disposto a sacrificare i propri cittadini, ma non si tratterebbe certamente della prima volta nella storia. Lasciando stare deliri cospirazionisti che girano in Rete, secondo cui Hamas sarebbe in realtà una creatura di Israele, ricordiamo molto più banalmente quanto successo a Pearl Harbor nel pieno del secondo conflitto mondiale. Gli storici più indipendenti hanno ampiamente dimostrato come l’intelligence a stelle e strisce sapesse dell’imminente attacco giapponese, ma nessuno è intervenuto proprio per creare un casus belli e permettere così agli Stati Uniti di entrare in guerra formalmente come paese vittima di un agguato.
Oggi purtroppo assistiamo ad una situazione molto simile. Non abbiamo certamente prove per dimostrare che Israele abbia de facto permesso l’azione di Hamas dell’ottobre scorso. Una conseguenza di quell’attacco è però evidente: da quel momento, il governo di Netanyahu ha deciso di colpire duramente i suoi nemici più vicini, non solo i combattenti palestinesi. Se a questo fatto, poi, aggiungiamo la timida condotta della comunità internazionale, incapace di condannare le azioni di Israele per la solita trita e ritrita paura di essere accusati di antisemitismo, non possiamo che prepararci al peggio per quanto potrà accadere nei prossimi anni in Medio Oriente. Lo Stato israeliano è per sua natura teocratico e messianico ed il suo obiettivo è ben chiaro fin dalla sua fondazione: la creazione di un Grande Israele che vada dal Nilo all’Eufrate. E nessuno oggi sembra avere la capacità politico-militare o, meglio ancora, la volontà di opporsi a questo progetto. Nemmeno gli Stati Uniti, da sempre pronti ad affibbiare l’etichetta di Stato canaglia a chiunque si opponga ai suoi progetti imperialisti, ma incapace di rivolgere una pur minima critica alle politiche sanguinarie di Israele.