Siculi, opera complessa e affascinante. Come nasce?
Beh, trattasi di un viaggio. Un viaggio nel passato, nel nostro passato, non solo di coloro che sono Siciliani della parte orientale e soprattutto sud-orientale dell’area iblea, ma di tutti gli Italiani e di tutti gli Europei, o Iperborei che dir si voglia. Ho voluto dedicare questo studio agli Indoeuropei, focalizzandomi però su quell’ethnos che si è stanziato, a partire dalla tarda Età del Bronzo (1270-1250 a.C.), nella Sicilia orientale, dando gradualmente un nuovo nome all’isola, Sikelia, riconosciuta poi da tutti per tramite dei Greci e dei Romani, nella sua reale estensione, come Sicilia, ”Terra dei Siculi”. Chi erano, dunque, i Siculi? Da dove provenivano? I miei studi di indoeuropeista, che abbracciano tutto lo scibile relativo all’esoterico mondo indoeuropeo, mi hanno dato occasione di esplorare i più reconditi segreti di questo ethnos dimenticato. Cultura, spiritualità, caratteri antropologici, genealogici e comportamentali, così come l’ambito strettamente cultuale, rituale, la Weltanschauung dei Siculi, sono infatti parte di quel complesso genealogico strutturale che è il grande albero indoeuropeo, il nostro axis mundi, da cui noi Europei fieri discendiamo. Nel mio saggio, non a caso, non dimentico un solo popolo della Sicilia preistorica e protostorica, o dell’epoca storica, così come non tralascio altri popoli della penisola o in genere del continente europeo. Il confronto tra ethne indoeuropei ci rammenta il nostro provenire da uno stesso centro di origine, che è settentrionale. Ciò è innegabile: comparazione linguistica, antropometrica, mitologica sono legate al grande e profondo Nord, riallacciandosi inequivocabilmente al mondo italico, germanico, celtico, vedico. I loro oggetti, dell’ambito quotidiano e di quello sacrale, ci permettono di ricostruire la loro vita, ancora e sempre di stile nordico, mentre la loro storia è a dir poco wagneriana, piena di pathos e di quel senso profondo di abnegazione nei confronti della propria stirpe che è esempio di grande nobilitas indoeuropea. Tutto questo, insieme, ha contribuito alla nascita di Siculi. Ho studiato per anni e anni Germani, Celti, Indo-iranici, Italici, così come altre popolazioni iperboree, e pure popoli del tutto allogeni, poiché solo il confronto ci permette di capire le differenze con gli altri e rafforzare altresì le nostre affinità, evidenze vive del nostro legame ancestrale, della nostra appartenenza alla stessa famiglia. Il nostro sangue (l’aspetto esteriore, fenotipico) deve assolutamente connettersi al nostro spirito (l’aspetto psichico e genotipico), e in ciò, la Ruota solare dei Siculi non è semplicemente un qualcosa che culturalmente ci lega a genti dell’estremo Nord, ma è un simbolo che risiede nel nostro genoma e nella nostra anima, che affiora ovunque e conferma la nostra origine rievocando forze misteriose, profonde, abissali, quale eco di un centro di origine, appunto: la nostra essenza spirituale.
Una certa accademia, tanto arrogante quanto superficiale, rischia di soffocare la vera ricerca. Come squarciare il grigiore, e riappropriarsi di una conoscenza autentica?
Il sistema vuole dementi e/o furbacchioni capaci di usare ad uopo tutte le ”armi” dialettiche-dialogiche per controbattere la ripulsa di chi, nella stragrande maggioranza dei casi, avverte che quel che viene letteralmente propagandato (non divulgato, attenzione) dal suddetto sistema non solo non è naturale, ma è anzi sovversivo nei confronti della Natura, allo stesso tempo non potendo opporvisi efficacemente perché “non in possesso di autorità accademica”. Chi sarebbero, però, questi ”accademici”, se non una massa di imbecilli che hanno ingoiato e metabolizzato senza senno tutto ciò che è stato loro forzato con anni e anni di lavaggi cerebrali? Se poi c’è qualcuno che ”accademicamente” si ribella e rigetta quanto profuso ad libitum da questi manipolatori, subito viene confinato, poi recluso, e infine, dopo tante umiliazioni ed angherie varie e nefande, persino obliterato, praticamente socialmente e mentalmente da considerare ”morto”. In una situazione simile, resta solo da rimboccarsi le maniche per conto proprio e condurre la guerra come vada… vada, così come sto facendo io. Rodersi continuamente dinanzi alle loro stupidaggini, alla loro sciatteria, alla loro tanto incensata ignoranza non serve proprio a niente, se non a perdere tempo e perdersi nel proprio cammino culturale e spirituale. Credere, obbedire e combattere, questo non va mai dimenticato, e nulla più. Pertanto, credete in voi stessi e in quello che fate; obbedite a quanto preposto da voi stessi come meta; combattete ogni avversità per raggiungere la vostra meta. Lasciate le loro sordide scemenze e provocazioni all’aria e fateci una risata sopra: ai meschini si dà questo, non l’oro. Studiate, confrontate sempre, siate critici, sempre, appropriatevi della conoscenza in modo diretto, con osservazioni e confutazioni dirette. Non ci vuole chissà quale erudizione per essere felici, basta che quel poco lo si conosca veramente, con grande schiettezza: un sapere fatto proprio.
Siculi, come abbiamo detto, è un viaggio nelle radici più profonde di un popolo, di una stirpe, di un mondo lontano, ma vivissimo dentro noi. Può, oggi, l’antropologia farsi ancora veicolo d’Identità, oltre sterili campanilismi?
Il campanilismo è espressione stupida e volgare, bassa, di chi non sa e non vuole sapere, di chi cerca nell’ignoranza pace e serenità, e invece vi trova la trappola mentale dell’ottusità. Nella mia vita, ho trovato campanilisti soprattutto a sinistra. Mai incontrato un campanilista a destra, di qualsiasi destra, in Italia o all’estero. Quanto al mio Siculi, senz’altro, è per tutti i buoni e sani Europei, non soltanto per i Siculi stricto sensu, poiché in esso possono tutti rispecchiarsi mirando alla propria ancestralità e guardandosi dentro, che si sia del Settentrione d’Italia, del centro peninsulare, delle Alpi dinariche o austriache, oppure dei fiordi norvegesi. Il mio viaggio ”nelle radici più profonde”, infatti, conduce alle origini, ed è proprio nelle origini che ritroviamo la nostra essenza, il nostro Io assoluto, ragion per cui, essendo noi Indoeuropei, non possiamo che convergere tutti nel centro di origine: Sauvastika, lo svastika con i rebbi a sinistra, che gira per condurci nel centro puro attraverso la catarsi. Il viaggio è nel passato, dunque nel centro interiore: è atavismo puro, sic et simpliciter. L’antropologia, l’archeologia, la linguistica indoeuropea, se usate nel modo giusto, possono compiere questo grande ”miracolo” per noi, ma dobbiamo saper usare queste discipline nel modo in cui ho esplicitato nella seconda domanda. Anche rispettare una ricetta culinaria secondo la tradizione della ”nonna” è un gesto rivelatore di chi siamo. Tutto può essere magico e meraviglioso se fatto nel giusto modo, con la giusta disposizione d’animo. Non lasciatevi mai avvelenare dal pattume woke che tutto e tutti pare oggi ammorbare.
Riscoprire le proprie origini, per meglio “combattere ciò che ci nega”, dunque?
Come ho già sottolineato, le origini vanno riscoperte nella nostra interiorità, ed è dall’interiorità che poi noi possiamo inerpicarci verso il Trascendente, memori della scintilla divina che Brahma nascose nell’interiorità dell’uomo. Il Capitano Codreanu diceva che bisogna essere ”poverissimi”, e che si deve “ricacciare indietro i capitali e i capitalisti stranieri”, vivendo in campagna e ivi costruendo le proprie città capitali “con i saggi, gli scienziati”. Questo dobbiamo fare noi Europei: adempiere all’ascesi, guardare alla trascendenza, usare il bene materiale per quel che basta e per quello che è, senza esserne schiavi. La linea nostra è verticale, celeste, iperuranica e noetica, muovendoci nelle nostre applicazioni quotidiane con grande perizia ed equilibrio sulla linea orizzontale, materiale, che dobbiamo controllare in modo epistemologico. Se i liberali ci vogliono indurre ad aumentare a dismisura la linea orizzontale fino all’annientamento, così come i marxisti pretenderebbero da noi un divellere l’asse verticale, annullando pure quello orizzontale fino alla riduzione al nulla, all’estinzione, ci spetta invece ergerci e affrontare questo mostro biprosopo del deserto orientale, con l’orgoglio e la fierezza di essere quel che siamo: Europei.