La scorsa estate Viktor Mihály Orbán è stato gradito ospite in Cina per affrontare la questione ucraina. L’incontro a Pechino è stato etichettato da Orbán su “X” come la “terza gamba di una missione di pace” riconoscendo al gigante asiatico “un ruolo cruciale per la pace globale”. L’orientamento di Xi Jinping è di attivare la ripresa del dialogo tra i due Paesi in conflitto evidenziando la necessità di attuare un cessate il fuoco: il non allargamento dell’area di guerra, la non intensificazione dei combattimenti e non alimentare le tensioni. I due leader hanno concordato l’amplificazione della cooperazione tra i loro Paesi come con Bruxelles, poiché l’Ungheria ha la presidenza del Consiglio dell’UE.
I media russi e cinesi hanno propagandato che Budapest ha operato con mandato europeo, ma l’iniziativa è stata stigmatizzata dai partner europei i quali hanno decisamente smentito l’iniziativa. La condanna dell’UE è sfociata nella storica decisione di boicottare la presidenza ungherese del Consiglio, mandando solo “semplici” funzionari alle riunioni convocate dall’Ungheria. La Commissione ha annullato la visita del Collegio dei Commissari europei alla nuova presidenza, con l’accusa di Budapest ad Ursula Von der Leyen di sfruttare il suo incarico per ricattare e fare pressioni politiche. L’iniziativa rappresenta la svolta strategica ungherese già a partire dal 2012 e accentuata dopo il 24 febbraio. La “Politica dell’Apertura ad Oriente” (Keleti Nyítás) è in origine formulata per rispondere alla crisi economica globale del 2008. Budapest ha differenziato le relazioni economiche e commerciali con i Paesi emergenti per risolvere problematiche quali la dipendenza asimmetrica dai fondi europei e il blocco dei salari in rapporto ad una produttività aumentata nel processo di transizione economica post-socialista, allargando i rapporti diplomatici con Cina e Russia entrando sempre di più in contrasto con i partner europei anche a causa del suo declino democratico.
Esaminando più attentamente i rapporti tra Budapest e Pechino, la Keleti Nyítás è contemporanea all’iniziativa cinese di cooperazione regionale “16+1” (oggi 14+1 per l’uscita dei Paesi Baltici e l’immobilismo della Repubblica Ceca) con i Paesi dell’Europa centrorientale. Da ciò, è conseguita l’adesione alla Belt and Road Initiative (BRI) diventando il primo Paese dell’Unione a farne parte. Bruxelles ha sempre tenuto un atteggiamento scettico nei confronti delle iniziative cinesi nell’area temendo che l’influenza di Pechino risulti in una politica divide et impera allo scopo di indebolire il mercato comune europeo e disarticolare la coesione politica e la sicurezza dell’UE. Tuttavia, gli Stati membri non sono mai riusciti a formulare una posizione condivisa contro la BRI in cui i veti ungheresi hanno giocato un ruolo decisivo. Tra il 2016 e il 2022, l’Ungheria ha usato il suo potere di veto più volte per immobilizzare le risoluzioni europee contro la Repubblica Popolare su temi quali le frizioni nel mar cinese, lo status di Hong Kong e la questione dei diritti umani.
Nell’estate 2018 la diplomazia magiara non ha partecipato alla stesura di un report dell’Unione Europea che stigmatizzavano le linee economiche cinesi in quanto “essere in contrasto con l’agenda dell’UE per la liberalizzazione del commercio […] a favore delle aziende cinesi sovvenzionate”. La Banca Nazionale dell’Ungheria ha evidenziato che gli investimenti esteri di Pechino verso l’Ungheria, sino a tre anni fa, hanno rappresentato solo il 3,7% del totale (3,5 miliardi di euro), rispetto ai 25 della Germania. Erano in progetto opere infrastrutturali sino-ungheresi, ma solo la linea ferroviaria ad alta velocità Belgrado-Budapest è stata parzialmente realizzata. Cinque anni fa, il ministro dell’Innovazione e della Tecnologia, László Palkovics, ha firmato un memorandum con il presidente della Fudan University, Xu Ningsheng, nella quale voleva realizzare un campus universitario cinese a Budapest da inaugurare nell’anno in corso. La congiuntura economica passiva causata dal COVID-20 e dall’invasione post-sovietica russa dell’Ucraina hanno messo in difficoltà l’economia ungherese, considerando che la sua quota del Recovery Fund è stata sbloccata solo a gennaio 2024.
Questa situazione ha ulteriormente avvicinato Budapest alla Repubblica Popolare. Negli anni recenti le imprese cinesi hanno aumentato gli investimenti nel Paese per un importo totale che oscilla tra i 16 e i 18 miliardi di euro circa. Nel 2022, è prevista la costruzione di una fabbrica di batterie per i veicoli elettrici a Debrecen da parte della Contemporary Amperex Technology Co. Limited, che investirà intorno ai 6,5 miliardi di euro. L’Ungheria ha perfezionato le relazioni con Huawei per mezzo di un accordo per la creazione di un sistema cloud con 4iG Nyrt, la maggiore società di telecomunicazioni magiara. La guerra russo-ucraina ha compromesso i rapporti tra l’Ungheria e i partner euro-atlantici. Budapest, con la sua presidenza del Consiglio, ostacolerà gli atti europei nei dossier. Orbán è in sintonia con il framework cooperativo della “All-Weather Comprehensive Strategic Partnership of a New Era”. Pattuita nella primavera dell’anno in corso, a Budapest, la “Partnership Strategica” mette nero su bianco la volontà di perfezionare la cooperazione economica e securitaria. Si pattuisce ancora che “le Parti si sostengono reciprocamente e con fermezza nella salvaguardia della sovranità, della sicurezza e dell’integrità territoriale nazionale”.
L’Ungheria apre così alla “One China Policy”, Budapest è infatti contraria “a tutte le forme di attività separatiste volte a rompere l’unità della Cina”, una netta differenziazione rispetto all’Unione Europea nell’eventualità, probabile, U.S.A. permettendo, dell’invasione da parte della Cina dell’isola di Taiwan. L’Ungheria, gradualmente, si allontana dal framework economico-securitario occidentale.