La casta dei Chōnin, l’ultima delle quattro caste sociali nell’ordinamento tradizionale del Giappone shogunale, rappresentava la classe sociale dei mercanti e degli artigiani, ovvero coloro che avevano un profondo legame con la materia e basavano la loro vita sull’avarizia o sul lusso. Proprio per questo loro attaccamento alla materia, vennero posti all’ultimo gradino della piramide giapponese.
Il sistema a caste poneva al vertice il diretto discendente della Dea Amaterasu, secondo la Tradizione del Sol Levante, ovvero l’Imperatore,
al secondo gradino la casta guerriera che possedeva la ricchezza materiale e le conoscenze dottrinarie e spirituali. Questa struttura si basava sulle dottrine del Confucianesimo, nelle quali veniva impedita la mobilità sociale per mantenere la stabilità spirituale e regale. Entrando nell’etimologia del termine ”Chōnin”, notiamo che esso è composto da due kanji, ovvero due ideogrammi, 町 o “Chō” che rappresenta ideograficamente la città, ed infine il kanji 人 o “Hito”, che rappresenta le persone. L’unione di questi due kanji, forma il termine “cittadini”, cosa che simboleggia il ruolo integrante dei borghesi mercanti giapponesi nel sistema sociale dell’epoca shogunale.
Possiamo notare l’ascesa della casta mercantile a partire dall’unificazione del Giappone per mano di Ieyasu Tokugawa, primo Shōgun del paese, avvenuta nel 1603, grazie all’abbattimento dei confini territoriali tra i vari feudi e al conseguente superamento del modello rurale.
Il primo risultato che ottenne la casta fu la sostituzione del riso come mezzo di scambio con la moneta, nonostante le severe restrizioni a loro imposte;
Il secondo fu l’accumulo di grandi capitali, che consentì loro di riuscire ad imporsi nell’attività del prestito di denaro ai daymio, ovvero i signori locali, e ai samurai.
Con la possibilità, sempre più alla portata di tutti, di creare un capitale, i cittadini cominciarono a commerciare, fondando delle vere e proprie aziende.
Ormai si era reso travolgente questo fenomeno, tanto da permettere la snaturalizzazione del sistema tradizionale giapponese, che poneva lo Spirito ed il Codice d’Onore, ovvero il Bushido, al di sopra dell’orizzontalità materiale. Di conseguenza, il termine “Chōnin” divenne un comune denominatore per indicare tutti i cittadini giapponesi, a dimostrazione di quanto l’ideologia mercantile si stesse insinuando nella mente dei giapponesi, e questa denominazione ancora oggi è in vigore.
Degeneri erano i mercanti e coloro che ponevano il guadagno alla base della propria forma mentis, eppure la società giapponese, mantenne la sua verticalità tradizionale, anche se col tempo cominciarono a diffondersi le idee annacquate ed economiciste delle classi inferiori. Fortunatamente venne ristabilita la forma tradizionale dell’Impero in seguito alla restaurazione Meji, avvenuta tra il 1866 ed il 1869, quando l’Imperatore riaccentrò a sé il potere temporale e spirituale, scacciando lo Shōgun e i suoi funzionari, essendo quel sistema vittima del borghesismo e dell’ozio di una parte della casta samurai, che ormai si era concessa al lusso e ai piaceri materiali, lasciando alle spalle la propria tradizionale formazione. In questo frangente, in funzione rettificatrice, i Samurai leali all’Imperatore, guidati dall’intercessione Divina e dalla regalità di quest’ultimo, impedirono alla classe mercantile di occupare cattedre di potere e impieghi pubblici, impossessandosi dei loro scranni all’interno delle aziende, in nome della fedeltà all’Impero, non al denaro, e riuscendo perciò a limitare l’autorità dei chōnin al solo potere d’acquisto.
La casta guerriera, guidata dal Tennō (天皇), l’imperatore, riassunse la regalità e l’onore perduto, rettificando la nuova fase della storia giapponese in nome del Sacro.