Netanyahu vs l’Aia: Norimberga smascherata

Dic 10, 2024

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Il 21 novembre, la Corte Penale Internazionale ha emesso un mandato di arresto per il Primo Ministro Israeliano, Benjamin Netanyahu, accusato di essere responsabile di crimini di guerra e crimini contro l’umanità per la sua condotta della guerra in Palestina, che in un anno ha fatto più di 40 mila morti.

La decisione della Corte dell’Aia, che ha emesso dei mandati anche per l’ex Ministro della Difesa Yoav Gallant e il leader politico di Hamas Mohammed Deif (che è stato però ucciso in un raid aereo israeliano), ha prevedibilmente scatenato l’ira di Netanyahu, che non ha perso tempo per condannare la Corte di “antisemitismo”, e degli stati alleati di Tel Aviv, capeggiati dagli USA. Il Presidente americano Joe Biden ha infatti definiti i mandati “oltraggiosi”, e ha ribadito il sostegno statunitense allo stato ebraico. La vicenda rappresenta il caso più grave di ipocrisia da parte di quell’”Ordine Mondiale basato sulle regole”, sorto dalle ceneri della Seconda Guerra Mondiale come meccanismo per gestire equamente le crisi internazionali, ma che fa sempre delle eccezioni per gli Stati Uniti e i loro alleati.

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In quest’ottica, il mandato di arresto per il Primo Ministro Israeliano può essere visto a tutti gli effetti come un test per mettere alla prova la reazione dei Paesi occidentali, principali sostenitori della Corte, e smascherare i loro doppi standard. Infatti, è bene ricordarlo, quegli stessi Stati che avevano applaudito la Corte quando aveva emesso un mandato di arresto per Putin e invitato i firmatari dello Statuto di Roma (il trattato internazionale che ha istituito la CPI) ad arrestare il Presidente Russo nel caso in cui si fosse recato nei loro Paesi, ora la condannano sfacciatamente e alcuni hanno già dichiarato la loro intenzione di non arrestare Bibi.

Si è già venuta a creare una frattura tra i Paesi del campo occidentale sulla questione di rispettare o meno la sentenza della Corte. Se da un parte alcuni -come la Spagna – hanno annunciato che rispetteranno il mandato di arresto, dall’altra nei Paesi come l’Ungheria la sentenza “non avrà alcun effetto”, come ha già annunciato il Primo Ministro Orban, che ha invitato Netanyahu per sfidare apertamente la decisione della Corte. Un’ulteriore divisione si è venuta a formare all’interno del Governo Italiano, dove la linea ufficiale espressa da Giorgia Meloni e dal Ministro degli esteri Antonio Tajani, sostanzialmente un “valuteremo”, si scontra apertamente con quella espressa pubblicamente dal Vicepresidente del Consiglio Matteo Salvini il quale ha dichiarato pubblicamente che se Netanyahu venisse in Italia sarebbe il “Benvenuto”.

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Lo scontro fra Israele e l’Aia ha puntato i riflettori del palcoscenico internazionale su una vicenda che mette in luce contemporaneamente la debolezza delle organizzazioni internazionali e rivela come la giustizia a livello delle relazioni internazionali sia esclusivamente legata ai rapporti di forza. È utile sottolineare che la Corte, da sola, non è in grado di arrestare nessuno, e può dispensare giustizia solo con la cooperazione dei Paesi che hanno firmato lo Statuto di Roma. Se facciamo la conta dei Paesi che non hanno mai firmato il trattato, come la Cina, l’India e il Pakistan; dei Paesi che l’hanno firmato, ma non l’hanno mai ratificato, come gli Stati Uniti, la Russia e lo stesso Israele; e ci aggiungiamo adesso i Paesi che l’hanno firmato ma non lo rispetteranno, ci rendiamo immediatamente conto del fatto che le principali potenze economiche, militari e nucleari che collettivamente rappresentano la maggioranza della popolazione mondiale, sono immuni dal giudizio della Corte. A rimuovere ogni dubbio sull’impotenza della CPI e sulla sua incapacità di presentare anche solo una facciata di giustizia, basta ricordare che nel 2002 il Congresso Americano ha approvato la legge “American Service-Members Protection Act”, che autorizza il Presidente degli Stati Uniti ad utilizzare ogni mezzo a sua disposizione per liberare qualsiasi ufficiale politico o militare americano che venga detenuto all’Aia. In altre parole, gli Stati Uniti possono invadere militarmente i Paesi Bassi per sottrarre qualsiasi americano (o anche israeliano, poiché la legge si estende anche ai cittadini dei paesi alleati) dal giudizio della CPI.

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I sostenitori della legge internazionale si ritrovano quindi a doversi arrendere di fronte all’evidenza dei fatti, ovvero che l’ordine internazionale basato su una serie di norme condivise, che bandisse gli atavici mali come la guerra e la politica di potenza, non esiste, e rimane solo una puerile fantasia. Con l’avvicinarsi dell’80esimo anniversario della fine della Seconda Guerra Mondiale e del Processo di Norimberga, ci avviciniamo verso la fine di quel “Secolo degli incubi” di cui parlava Maurice Bardèche in “Norimberga o la Terra Promessa”, ma gli incubi non finiscono. Il tentativo della CPI di arbitrare un conflitto ponendo sullo stesso piano le due fazioni coinvolte, mantenendo fede alla sua promessa originale, si scontra direttamente con quelle dinamiche che regolano da sempre i rapporti fra gli stati, ma che dal ’45 cerchiamo di camuffare sotto il velo bucato della legge internazionale.

Di fronte a questi fatti, ci torna alla mente la risposta degli Ateniesi nei confronti dei Meli ne “La guerra del Peloponneso” dello storico ateniese Tucidide: “[…] I concetti della giustizia affiorano e assumono corpo nel linguaggio degli uomini quando la bilancia della necessità sta sospesa in equilibrio tra due forze pari. Se no, a seconda; i più potenti agiscono, i deboli si flettono”.