Che cosa c’è più di “Destra” che concentrare il proprio pensiero e mettere al centro dei nostri valori di riferimento, la civiltà classica greco-romana e i valori tradizionali del cristianesimo? Pensiero greco, diritto romano e princìpi non negoziabili sul piano etico e ontologico fondati sulla visione cristiana dell’Occidente. Quando si fa appello al “conservatorismo”, è a questo che dobbiamo volgere lo sguardo. Non conservatorismo in senso neoliberista, reazionario e controrivoluzionario, bensì, conservazione di valori eterni che si trasmettono dal passato al futuro tramite la Tradizione. Difendere il tradizionalismo, non implica un atteggiamento ostile e aggressivo verso le tradizioni altrui, viceversa, significa amare il mondo nelle sue molteplici, diverse tradizioni da preservare da quel processo liberal-progressista insito nell’omologazione globalista. Ciò significa però ripristinare il concetto che in Italia, Europa e Occidente, la “forma” muta ma la sostanza non può che ruotare eternamente attorno ad un asse che resta fisso. Identità da difendere quindi, sia dai flussi migratori, sia dalle derive nichiliste del progressismo post-comunista, sia dall’appiattimento tecnocratico del turbo-capitalismo globale.
Partendo da simile premessa, voglio qui parlare dell’ultima fatica editoriale di Vittorio Sgarbi: “Natività. Madre e Figlio nell’arte”, edito da La nave di Teseo e uscito nel 2024.
Tutte le opere d’arte descritte nel volume da Sgarbi hanno come tema, non solo la natività e, quindi, la “maternità”, ma specificamente, la rappresentazione nell’arte del rapporto tra Maria e suo Figlio Gesù il Cristo. Il viaggio parte dall’arte bizantina, dalle Natività e Annunciazioni disincarnate e divine, con il cielo infuso d’oro, per poi procedere attraverso la rivoluzione della pittura (e scultura) moderna, che ha rappresentato una natività sempre più terrena, sempre più vicina alla vita. Da Cimabue e Giotto a Simone Martini, da Piero della Francesca a Raffaello, da Michelangelo a Caravaggio e Rubens fino ad approdare alle suggestioni dell’Ottocento e Novecento, da Courbet e Segantini, a Pietro Gaudenzi.
Appare evidente come il tema, pur lo stesso, si evolva con lo scorrere della Storia. Se nell’arte bizantina l’aspetto “umano”, “terreno”, era totalmente assoggettato dall’aspetto “divino”, “celeste”, “metafisico”, dove l’oro era il colore dominante a rappresentare l’Oltremondo che è al di sopra di ogni cosa, con la fase finale del Medioevo e soprattutto, con il Rinascimento e l’Umanesimo (da non confondere con il Nuovo Umanesimo odierno, ma ci torneremo dopo), si compie una graduale inversione di campi, che però non contraddice in nessun modo il Dogma religioso. La rivoluzione e lo “scandalo” della religione cristiana (e cattolica), è un Dio che si fa uomo, che diventa carne, che soffre – oltre nello spirito – anche nel corpo. Non è l’uomo che si fa Dio, è Dio che si fa uomo, e che grazie a questo processo, consente all’umanità intera di connettersi con il Padre attraverso il Figlio. Pur rispettando tutte le religioni del mondo, questa “rivoluzione” è unicamente del cristianesimo. Se l’Antico Testamento tratta del Dio-Padre, il Vangelo tratta del Dio-Figlio, non riconosciuto al suo tempo dagli ebrei (e soprattutto, dai farisei), in quanto rifiutarono (e rifiutano) l’idea che il Messia sia un Dio incarnato. Il “מָשִׁיחַ ” che in ebraico significa Messia, che attendono gli ebrei, non è “divino”, ma un Re che secondo gli ebrei guiderà il loro popolo alla vittoria finale, non riconoscendo invece il Gesù Cristo che per i cristiani è già venuto, è morto e risorto, ed è destinato a tornare nel tempo della Parusia. Questo evento “messianico” coincide nella visione paganeggiante di Julius Evola nel passaggio dal Kali-Yuga (Età oscura) al ritorno dell’Età d’oro. Questo attraversamento ciclico corrisponde per la religione cristiana al ritorno all’Eden originario, ove tutti i morti in Cristo risusciteranno, non solo in spirito, ma anche in carne. La rivoluzione e lo “scandalo” della “carne”, è già lì, nel Vangelo, ma solo con il superamento del bizantinismo e il passaggio al Rinascimento e all’Umanesimo, per via della cultura liberale allora emergente, che avviene l’inversione dei poli. Dio è al centro dell’Universo, ma essendo Dio in ogni uomo, anch’egli, l’uomo, l’individuo, è al centro dell’Universo. Il liberalismo che ho accennato, ovviamente, era allora una visione filosofica, culturale e artistica, era “pensiero”, “teoresi”, non ancora una visione politica, che solo secoli dopo diventerà ceto politico, e non ha nulla a che vedere, naturalmente, con la sua degenerazione mercantile, economicista, tecno-finanziaria del capitalismo neoliberista oggi dominante.
Attraverso la lettura di “Natività. Madre e Figlio nell’arte” di Sgarbi, noi assistiamo ad un progressivo passaggio da una visione astratta del rapporto Madre-Figlio cristiani, ad una visione “tangibile” e umana. Ecco le parole di Sgarbi: “Così nel mondo pagano le divinità sono le proiezioni della nostra idea di perfezione: Giove il potere, Venere la bellezza, Marte la forza, Minerva l’intelligenza, Mercurio la furbizia, e le statue antiche ne sono la rappresentazione. La religione cristiana propone un rovesciamento di questo rapporto, e sostituisce alla forza e alla potenza, l’amore. Il primo passo di questa rivoluzione è mostrarsi come una religione dell’uomo, non degli dei. La forza della religione cristiana, il tema dominante della sua proposta, è la sua coincidenza perfetta con i tempi della vita terrena. Il cristianesimo è una religione dell’uomo…”
Come dicevo, ciò è già nel Vangelo, nel cristianesimo, ma solo grazie all’ascesa di una concezione liberale del cristianesimo che è stato possibile far emergere questa coincidenza tra trascendente e umano. Umanesimo. Così, nella parte finale del volume di Sgarbi, approdiamo all’Ottocento e al Novecento, dove il tema religioso della Maternità si dirada, ma giungiamo a raffigurazioni puramente umane del tema. Ancora Sgarbi scrive: “Nel Novecento il tema della maternità è raro, difficile, e soprattutto, deve scendere dal soggetto religioso della Madonna con il Bambino a quello umano della madre con il figlio”. Ma non siamo ancora al “laicismo” o, peggio, al’ateismo, al “materialismo empirico”, sebbene siamo già nei tempi di Marx e di Nietzsche; piuttosto, siamo nella piena maturità di quel processo “laico” improntato dal liberalismo. Se nei secoli precedenti avevamo assistito all’umanizzazione di Dio, adesso giungiamo alla divinizzazione dell’uomo, ma non nel senso “superomismo” nietzschiano, ma nella misura in cui se Dio è nell’uomo, l’uomo è in Dio.
Qui termina, più o meno, il libro di Sgarbi. È necessario, dunque, che io aggiunga quello che non è menzionato nel bellissimo volume del critico d’arte, ovviamente, completo di numerose fotografie di affreschi, dipinti e sculture. Nei tempi che viviamo, da tanto, troppo tempo, siamo scaduti dalla laicità al “laicismo”. Siamo alla dissacrazione del divino e del religioso, e il superuomo nietzschiano, ha lasciato il posto al “sovrumanismo” contemporaneo. Che significa ciò? Che Dio è stato “relativizzato”, se non “rimosso” e al suo posto abbiamo elevato l’uomo, come individuo (o, peggio, individualismo) come apice dell’esistenza. E peggio ancora, con le insidie del progresso tecnologico e l’avvento dell’Intelligenza Artificiale, rischiamo a sua volta di elevare la tecnica al di sopra dell’uomo. Heidegger avvisava di questo rischio da tempi insospettabili. Ma l’Intelligenza Artificiale non è creata a immagine e somiglianza di Dio e non possiede un’anima.
È la negazione totale della metafisica, anche se spesso “velata” da un falso “spirito pseudo religioso modernista”. È la crisi (oso dire, finale) del liberalismo. Non nego, cioè, che storicamente, una “fase liberale” sia stata necessaria, indispensabile per superare il dogmatismo antico. Rifiuto però il nuovo dogmatismo secondo il quale il liberalismo sia la parola finale della Storia. Già Giovanni Gentile nella sua “La dottrina del fascismo”; saggio del 1932, rivisto e arricchito dallo stesso Duce, Benito Mussolini, affermava non solo che il liberalismo era storicamente superato dal fascismo, ma giungeva ad un’ardita conclusione che non c’è una dottrina perfetta ed eterna, valida per tutti i periodi storici. Se ciò fosse vero, il fascismo stesso, per opinione del suo principale teorico, Gentile, è storicamente “superabile”. Il che non significa “rinnegabile”, ma oltrepassandolo in quel processo revisionista che definiamo conservatore e a-fascista. Ma occorre mettersi anche d’accordo su cosa intendiamo con “conservatorismo” e “afascismo”.
Paradossalmente, con questa affermazione, Gentile finiva per dar ragione ad uno dei suoi più acerrimi avversari in filosofia, lo “scettico” Giuseppe Rensi, che passando dal socialismo al fascismo, era infine approdato al conservatorismo, vedeva nella prassi un atto di inevitabile corruzione della teoresi. Tanto è perfetta la teoria, meno lo è quando essa si realizza in prassi. In tal senso, Rensi proponeva una visione “eternamente rivoluzionaria” che si rimettesse continuamente in discussione.
L’era che stiamo vivendo, mi sembra, e ci sembra, essere all’insegna della crisi finale tanto del liberalismo quanto del progressismo; la crisi del relativismo etico e del nichilismo pratico, del politically correct e dell’ideologia “Woke”. Ma, ripartendo, appunto, dallo “scetticismo attivo” di Giuseppe Rensi, è bene non farsi troppe illusioni sui vari Donald Trump, Elon Musk o Javier Milei Se sono accusati (o idolatrati, a seconda del punto di vista) di fascismo, occorre comprendere di che fascismo intendiamo. Più che a Mussolini, ci sembra che questa nuova tendenza guardi a Pinochet, ed è arduo stabilire se nel caso di Pinochet è corretto parlare di fascismo. Non nego che su molte questioni vi sia un orientamento preferibile rispetto al recente passato, ma essi non rappresentano quella idea “storica” di Destra sociale, nazionale e rivoluzionaria che abbiamo sempre avuto come “bussola”. Per tornare a Giuseppe Rensi, quindi, è consigliato mantenere un atteggiamento di “pessimismo attivo”: prendere quello che di buono proviene da questa nuova fase, e restare critici verso quegli aspetti che non coincidano, per dirla in sintesi, con una visione “spirituale della vita”.
Per concludere, torniamo a Sgarbi e al suo libro. Se c’è stato e c’è in atto da tempo un processo revisionista (che personalmente considero positivo) delle destre postfasciste, verso un approccio conservatore liberale che qualcuno più radicalmente a Destra interpreta o può interpretare come “tradimento”, occorre fare due valutazioni: la prima è che i tempi cambiano, la Storia non si ripete mai nel medesimo modo; dottrine valide in passato, non è detta che lo siano anche oggi o domani. Secondo: è anche vero che i moderati, i liberali, e liberal-conservatori, a sua volta, si sono “rimessi in discussione” e si sono palesemente riposizionati su barricate più nazional-rivoluzionarie, o “sovraniste” se preferite, ammesso che esista davvero il “sovranismo” e che si sia compreso cosa sia. Decidete voi se i fascisti son diventati conservatori e i liberali si sono convertiti al fascismo; certe semplificazioni non mi interessano, ma questo è ciò che sta concretamente avvenendo in tutto il mondo. Lo stesso Sgarbi, liberale convinto, ha oggi una concezione del liberalismo ben lontano da quello che aveva in gioventù (e lo dimostra la collaborazione, seppur burrascosa che ha avuto con l’attuale governo di Destracentro guidato dalla Premier Giorgia Meloni), e il libro “Natività. Madre e Figlio nell’arte” non dovrebbe mancare nella biblioteca personale di chi ama una cultura di Destra, perché alla fine tutto torna al princìpio fondamentale dell’Identità. Questa è la summa finale del pensiero attuale di Vittorio Sgarbi: “La Natività è il Princìpio di tutto. La sua sintesi è nella immagine della Madre che tiene in braccio il Bambino: essa non mostra il potere di Dio ma la semplicità degli affetti, il Giotto come in Pietro Lorenzetti, come in Vitale da Bologna, come in Giovanni Bellini, come in Bronzino, come in Caravaggio. Maria nell’atto della maternità non è una maestà lontana, in trono, che tiene in braccio un bambino che è già divino: è semplicemente, nella maggior parte delle rappresentazioni, una mamma con il figlio. Per questo la maternità di Maria non è un tema religioso ma un tema umano. Il soggetto è semplicemente la vita”.