Focalizzati sul conflitto ucraino e sui massacri che insanguinano il Medio Oriente, l’Occidente ha perso di vista la Cina che continua ad affermarsi nel mondo: a metà novembre Xi Jinping era a Lima, ospite d’onore dell’APEC, il Forum dei paesi frontalieri del Pacifico. In tale occasione ha presenziato all’inaugurazione del porto peruviano di Chancay, il più grande scalo marittimo della costa occidentale del Sud America, costruito e gestito da aziende cinesi. Operazione che sta per essere replicata a San Juan de Marcona, nel sud del Perù.
Subito dopo Xi si è recato al G20 di Rio de Janeiro presenziando al Forum da protagonista e siglando 37(!) accordi commerciali con Lula da Silva. Il Brasile non è nella Belt and Road Initiative per non suscitare le ire americane, ma lo spirito è quello e l’interscambio con la Cina è pari a 160 miliardi di dollari. Del resto, escluso il Messico, Pechino è la prima partner dell’intero Centro e Sud America. Una presenza capillare che, con discrezione ma molta concretezza, s’è radicata nel preteso cortile di casa di un Egemone in evidente stato confusionale.
E se la presenza cinese in America Latina è ormai ineludibile, essa lo è da decenni in Africa: ai primi di settembre a Pechino s’è tenuto il FOCAC 24, il Forum China-Africa Cooperation, che ha richiamato i capi di stato e di governo del Continente. Un successo politico ed economico completo, non propaganda ma sostanza: 50 miliardi d’investimenti e assistenza per il prossimo triennio (10 in più del precedente), in un contesto che vede l’interscambio dell’Africa con la Cina più che quadruplo di quello con gli USA.
E non basta: in Medio Oriente, in Asia Centrale, perfino in Oceania l’influenza e le attività cinesi sono in ascesa, guidate da una lucida strategia di lungo periodo e sorrette da una forte economia al servizio d’un disegno complessivo. È un sistema capace di trasformare gli ostacoli in opportunità, facendo massa sulle criticità per superarle, come sta accadendo nelle tecnologie di punta, oggetto delle sanzioni occidentali.
La chiave dell’espandersi cinese nel mondo sta nel fatto che il Sud Globale è stanco del neocolonialismo, delle pretese occidentali d’imporre regole e standard a propria convenienza, di farsi imporre la lezione da chi con una mano dà (poco e a condizioni inique) e con l’altra prende tutto. Il Sud Globale vuole partner per sostenere il proprio sviluppo e la Cina è lì, pronta, non per filantropia, certo, ma secondo una logica win-win estranea a pretese di dominio e viatico per intese di lungo periodo.
A scanso d’equivoci, Pechino non mira all’egemonia globale; provare ad assumersi l’onere di dirigere il mondo è fuori dai suoi schemi, dalla sua geocultura intrisa di confucianesimo. Vuole essere centrale e giungere fin dove le sue capacità la portano, sì, ma non intende provare a sinizzare il globo perché culturalmente lo ritiene – a ragione – impossibile. E, dopo l’amaro Secolo dell’Umiliazione, non vuole riconoscere dominio altrui su di sé.
Come si pone l’Europa dinanzi a queste dinamiche globali che stanno sovvertendo il rules-based order dello Zio Sam? Necessaria premessa: oggi l’Europa esiste come concetto geografico, non politico. La UE è semplice articolazione della NATO, oggi dilatata a NATO Globale fino all’Indo-Pacifico quale proiezione degli interessi USA. Restano gli stati nazionali che versano in stato confusionale, incapaci d’individuare i propri interessi, figurarsi d’abbozzare strategie per perseguirli. In un presente che rifiutano di comprendere, s’ostinano a seguire gli USA, Stella Polare sempre più appannata. Impero in piena decadenza che spreme le province per sostenersi.
Per i contendenti della transizione egemonica in corso, gli stati europei sono – ma non si sa ancora per quanto – prede pregiate. Alle loro leadership starebbe volgere in opportunità il cambiamento in atto; apprendere la lezione della Cina virando dalla servitù all’affrancamento. Sapranno schivare i rischi e cogliere i potenziali vantaggi del mutamento? Sapranno raggiungere la consapevolezza per farlo? Da quanto si vede è più che lecito il dubbio.