Non è più possibile tacere. È evidente che nel mondo ci sono attualmente delle forti tensioni internazionali, soprattutto in Europa (guerra in Ucraina) e nel Medio Oriente. Tensioni che ci auguriamo non si estendono, ma questo dipende fortemente anche dal comportamento dei governi delle varie nazioni del globo. Vorremmo qui soffermarci sulla crisi mediorientale, dove – questione tutt’altro che secondaria – l’Onu ha recentemente votato una mozione che (finalmente) consente alla Palestina di diventare membro delle Nazioni Unite. Israele ha tuonato contro tale decisione, associando la Palestina ad Hamas (quando invece sono due cose ben diverse e distinte); bollando la Palestina come novello “neonazismo hitleriano” e riducendo l’Onu a un’istituzione ormai irrilevante (è rilevante solo quando fa comodo a Israele e suoi alleati); scontato il voto contrario di Usa. Lungimirante l’astensione dell’Italia. Intendiamoci, avremmo preferito un voto favorevole, ma l’Italia è un osservato speciale (su questo punto torneremo più avanti), e l’astensione è già un passo avanti notevole.
Si parla di un crescente antisemitismo nel mondo. L’antisemitismo è da condannare, e curioso che qualche volta queste recrudescenze sembrano emergere più in ambienti della Sinistra radicale, che per più di mezzo secolo hanno accusato l’estrema Destra di questo rancore razzista. Ma l’antisemitismo – se c’è – è sinceramente un fenomeno molto marginale. Per lo più, le manifestazioni e le espressioni spontanee del popolo mondiale, sono di risentimento verso una presa di posizione da parte del governo israeliano, che è – a nostro parere – ingiustificabile sotto ogni punto di vista. Il problema non è la “razza” o il “culto religioso”, ma la politica estera colonialista che dalla nascita dello Stato di Israele, è sempre stata evidente, a danno dei popoli arabi e in modo particolare del popolo palestinese.
Nessuno nega che nel mondo arabo vi siano forme di fondamentalismo religioso e di terrorismo armato. Nessuno nega neppure la gravità dei fatti del 7 ottobre 2023. Tuttavia, ricordiamo che il governo israeliano era stato per tempo avvertito da altre nazioni che c’era in programma un attacco terroristico ai danni di Israele, e se Netanyahu non ha saputo agire per tempo, è quanto meno deprecabile la responsabilità dell’incapacità del governo israeliano, e – a parte ciò – a voler esser maliziosi, ci domandiamo come sia possibile che i servizi segreti israeliani (considerati i più efficienti al mondo) non abbiano saputo prevenire e impedire un attacco terroristico eseguito con biciclette e deltaplani. Detto questo, nulla toglie alla gravità dell’attentato terroristico. Ma la risposta del governo Netanyahu è il più idoneo per salvare la vita agli ostaggi israeliani nelle mani di Hamas e per garantire la loro liberazione? E ancora – ci sia concesso – possiamo considerare la risposta “sproporzionata”? Detto in semplici parole, possiamo accettare un simile sterminio di cittadini palestinesi inermi, civili, anziani, donne e bambini, che nulla c’entrano con Hamas? E in ultimo, ma più importante di ogni altra considerazione: siamo sicuri che i fatti del 7 ottobre non siano usati come “casus belli” per giustificare piani di espansionismo nazionale e coloniale oltre i propri confini israeliani?
Pensiamo che le nostre domande siano più che legittime, perché l’opinione pubblica è sempre più indignata nei confronti della politica estera e militare imposta dal governo Netanyahu, compresi molti cittadini israeliani, a cominciare dai tanti parenti dei prigionieri di Hamas, che sono sempre più convinti che la risposta di Israele sia la meno idonea per riportare gli ebrei a casa. Persino gli Usa, sotto la presidenza di Biden, da sempre i migliori alleati di Israele, si stanno “distanziando” dallo Stato ebraico, anche a causa delle forti proteste e manifestazioni negli atenei americani da parte di persone, per lo più di area “liberal”, ovvero, della Sinistra radicale, che il Presidente democratico Biden non può non tenere di conto. Tuttavia, affermiamo, tutto ciò non è sufficiente, perché se il mondo volesse, a cominciare proprio dagli Usa, potremmo fermare l’azione sconsiderata di Israele.
In Italia, il governo presieduto da Giorgia Meloni, ha da subito condannato i fatti del 7 ottobre e si è astenuto più volte sulle votazioni Onu. Abbiamo già affermato che avremmo preferito un altro atteggiamento. Ma chi – da Sinistra – attacca il governo – lo fa strumentalmente, per mettere in difficoltà l’esecutivo. Come dicevano all’inizio, questo governo è un osservato speciale, in quanto il partito che guida la maggioranza di governo, e che è anche primo partito italiano, Fratelli d’Italia, è pur sempre il partito della “Fiamma tricolore”, ergo, considerato eredità politica e culturale di quel fascismo che – storicamente, alleandosi col nazismo – approvò le leggi razziali. Immaginiamoci se ci fosse stata sin dall’inizio una presa di posizione filo-palestinese e decisamente critica nei confronti di Israele, come sarebbe stata la reazione di opposizioni e delle comunità internazionali.
Tuttavia, sia l’astensione, che le critiche agli eccessi di Israele, ci sono state. Sia il Premier Meloni, che il Ministro degli Esteri Tajani, hanno detto chiaramente che la reazione di Israele è sproporzionata e ingiustificabile, e hanno ribadito la necessità della creazione di due popoli e due Stati. Un po’ poco dal nostro punto di vista, ma non potevamo aspettarci di più. Anche perché, a Destra, ci sono sensibilità comunque diverse, molte delle quali filo-israeliane e filo-atlantiche, posizioni che noi non condividiamo. A prescindere da quanto insinuato dalle opposizioni (che non fanno testo), il governo italiano ha fornito e sta fornendo armi e appoggi logistici a Israele o no? Se la risposta fosse sì, la cosa avrebbe una sua forte gravità. Anche perché, diciamolo, la Destra profonda, nazionale, sociale, e movimentista, ha molto a cuore la “causa palestinese”, si pensi agli ambienti giovanili e studenteschi, interni a Fratelli d’Italia. Ma anche a livello culturale; intellettuali di Destra quali Marcello Veneziani, Francesco Borgonovo, Franco Cardini, Pietrangelo Buttafuoco, solo per fare alcuni nomi, sono tutt’altro che allineati con la politica estera e militare del governo italiano attuale. Questo non significa che devono passare a Sinistra. Certo, le manifestazioni di protesta contro Israele e in solidarietà della causa palestinese, in Italia e nel mondo, sono egemonizzate dagli ambienti della Sinistra radicale. Ma questo accade anche per colpa di una pigrizia (o ignavia, che è peggio) degli ambienti di Destra. Le ragioni – almeno per quanto ne concerne il nostro Paese – sono evidenti: non mettere in difficoltà il primo governo italiano dal Dopoguerra guidato dalla “Fiamma”. E tuttavia non possiamo lasciare le piazze alla Sinistra radicale. Anche perché effettivamente anche sul versante politico, a Destra, ci sono posizioni critiche. Lo dimostra ad esempio tutta la galassia della Destra radicale, a cominciare dalla presa di posizione di Gianni Alemanno, che – sulla scia delle posizioni che furono di Pino Rauti – sta criticando la deriva liberalconservatrice del governo e il suo appiattimento su Ue, Usa, Nato. Il punto è: si può criticare il Centrodestra da Destra?
Diversa diventa però la prospettiva se invece che a livello nazionale, ragioniamo a livello globale e veniamo al punto: da troppi decenni, ormai, assistiamo inermi alla crisi del Medio Oriente che solo dopo il 7 ottobre, e in modo particolare dopo la decisione di Netanyahu di invadere Rafah (molti osservatori internazionali descrivono questo scenario come una possibile catastrofe senza precedenti), una crisi che vede Gaza descritta come una “prigione a cielo aperto” a causa delle restrizioni di movimento imposte da Israele e dall’Egitto, dopo che Hamas ha preso il controllo della Striscia nel 2007. Queste restrizioni hanno contribuito a trasformare Gaza da una città in una bidonville, con gravi problemi di sovraffollamento, povertà e carenze nelle infrastrutture essenziali. Attualmente, come tutti ben sappiamo, la situazione per il popolo palestinese è drammatica. I danni provocati dai raid Israeliani in seguito all’attacco del 7 ottobre 2023 sono ormai incalcolabili:35.000 morti tra cui 15.000 bambini e non si riesce a quantificare il numero di feriti e mutilati, per non parlare dell’imminente esaurimento delle scorte di cibo, acqua potabile e medicinali. Il mondo rischia di restare testimone di una nuova Holodomòr, la grande carestia dell’Ucraina che nel 1932 causò milioni di morti. Siamo forse davanti a una delle più grosse tragedie dell’umanità. In tutto questo, come ben sappiamo, Israele ha agito pressoché indisturbato. Il governo di Benjamin Netanyahu ha trovato aspre critiche solo dai paesi mediorientali e dai loro gruppi armati paramilitari antisionisti, quali Hezbollah in Libano, gli Houthi nello Yemen e i Pasdaran iraniani, ossia il corpo delle guardie delle rivoluzione Islamica, e ovviamente Hamas.
Il resto del mondo ha dato il suo bene tacito, almeno in apparenza, o ha tenuto atteggiamenti ambigui, con pilatesco astensionismo di cui abbiamo già citato, almeno la classe politica e gran parte della stampa e delle TV. Ancora una volta, un po’ di “controinformazione” riesce a trovare spazio come al solito, sul web e sui social. Molti giornalisti, alcuni quotidiani, e anche (pochi) esponenti politici hanno intrapreso un’inversione di tendenza. Le rumorose proteste nelle università di molti paesi occidentali, le manifestazioni di tutto il mondo, comprese quelle avvenute dentro e fuori dall’Eurovision Song Contest, dimostrano un dissenso che cozza in maniera roboante con le prese di posizione della classe dirigente politica e della stampa generalista, che ha il compito – tanto per cambiare – di diffondere la “disinformazia” – con l’obiettivo di creare una realtà percepita di sostegno al massacro in corso. Siamo un po’ sorpresi che l’Eurovision Song Contest, non l’abbia vinto Israele (non ci è andata lontana), considerando che il meccanismo di votazione (sempre che non sia tutto truccato, ma non abbiamo prove per affermarlo), consentiva agli ebrei di tutto il mondo (e dei filo-israeliani) di votare compatti per Israele. Probabilmente la necessità di far vincere l’ideologia “fluida” (vedi la vittoria dello svizzero “Nemo”, in un turpe spettacolo generale inverecondo), ha prevalso sulla propaganda sionista. Un altro curioso dettaglio non da poco, è che all’Eurovision Song Contest, fosse esclusa la Russia e incluso Israele; quale delle due nazioni è più coerente con i valori storici e tradizionali dell’Europa? La Russia o un paese mediorientale come Israele? Le ragioni per l’esclusione della Russia dalla competizione canora, l’invasione dell’Ucraina, evidentemente non valgono per Israele che massacra civili a Gaza. Tutto dipende da che posizione occupi nello scacchiere internazionale. E allora, temiamo, che i poteri forti che governano il mondo abbiano interesse a pilotare la situazione in questa direzione e che – ci sia consentito – la tragedia della “Shoah” – sia continuamente usata strumentalmente come ricatto morale per autorizzare Israele a compiere azioni che ad altre nazioni sarebbero proibite in quanto crimini di guerra o crimini contro l’umanità.
Nonostante questa martellante propaganda occidentale, l’opinione pubblica mondiale si sta sempre più coalizzando in solidarietà a Gaza, e monta contro Israele un risentimento che non giova neppure agli ebrei. Evidente scollamento tra potere politico e opinione dei popoli del mondo. E per favore, non ripeteteci ancora la solita litania che l’antisionismo nasconde l’antisemitismo.