Da decenni sentiamo dire dai rappresentanti politici della sinistra che la Costituzione italiana è antifascista. Ma forse non l’hanno mai letta, nonostante sia composta di soli 139 articoli, altrimenti saprebbero che la parola “antifascismo” non appare in nessun articolo della stessa. Noi invece, da secchioni (si fa per dire, eh!), l’abbiamo letta, studiata e, addirittura, ne abbiamo apprezzato anche alcuni passaggi. Per esempio l’articolo 46 che afferma testualmente:
“Ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro e in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende”.
Peccato però che questo articolo, come tanti altri, sia rimasto letteralmente lettera morta. A sinistra non piaceva, ricordando loro eccessivamente quella socializzazione della Rsi che il Cln Alta Italia aveva immediatamente abrogato, tramite decreto, perché a parer loro inficiava quella lotta di classe che permetteva loro, nei fatti, di mantenere certe rendite di posizione, soprattutto a livello sindacale, tutt’ora esistenti (vedi Cgil e dintorni). Ai capitalisti men che meno dato che hanno sempre considerato i lavoratori poco più che schiavi, arrivando oggi a derubricarli a semplici costi da minimizzare il più possibile. Anche a destra, nonostante ad ogni inizio legislatura venisse presentata una proposta di legge al riguardo, era più una lotta di “bandiera” che una vera proposta di alternativa al capitalismo imperante, ovviamente per non impensierire determinati ambienti industriali che si ritenevano utili a fini elettorali.
Senza scordare che poi spesso, in materia di partecipazione, anche da parte degli ambienti missini si tendeva soprattutto a porre l’accento sulla questione economica: in sintesi, la partecipazione dei lavoratori agli utili dell’azienda. Questa però era una visione restrittiva e che non coglieva l’aspetto più importante della proposta partecipativa. Ridurla ad una questione puramente economica era un doppio errore: da una parte, come giustamente faceva notare nei suo scritti Evola (notoriamente avverso a qualunque ipotesi di socializzazione), non si capiva quale sarebbe stata la sorte dei lavoratori nel caso, non certo remoto, che l’azienda, invece di ottenere utili, andasse in passivo; dall’altra si continuava a privilegiare una visuale puramente materialistica, come se la partecipazione fosse qualcosa di positivo in quanto avrebbe portato ad un aumento del reddito dei lavoratori. Ma questo era un effetto secondario, quello principale era un altro.
L’aspetto più importante, quello realmente rivoluzionario della partecipazione, è il fatto di innalzare spiritualmente il lavoratore. Contro la visione marxista della lotta di classe, per cui il proletariato può unicamente porsi in contrapposizione a chi detiene la proprietà dei mezzi di produzione per emanciparsi realmente, e quella capitalista per cui conta solamente il Capitale mentre il Lavoro è considerato unicamente uno strumento per la realizzazione di profitti sempre maggiori, la partecipazione si pone in una prospettiva totalmente diversa: non solo Capitale e Lavoro devono collaborare tra loro ma lo devono fare in una condizione di parità, motivo per cui i lavoratori, ovviamente dotati delle competenze tecniche necessarie, sono chiamati a cogestire l’azienda assieme a chi ne è titolare. In questo modo il lavoratore non è più visto come un semplice dipendente che deve sottostare agli ordini impartiti dall’alto ma è responsabilizzato, per cui il suo lavoro assume nei fatti e quotidianamente quella importanza e dignità che né la lotta di classe né il capitalismo sono in grado, per loro natura, di soddisfare. Così facendo l’Uomo è rimesso al centro del sistema valoriale concernente il mondo del lavoro. La partecipazione agli utili, quindi, ne rappresenta il conseguente corollario dato che, essendo centrale il ruolo del lavoratore anche nelle scelte e nella gestione aziendale, il suo compenso assume un aspetto totalmente diverso rispetto a chi, oggi, in un certo senso “affitta” la propria forza lavoro unicamente per garantire i profitti di chi ha investito capitale nell’attività d’impresa.
Noi pensiamo che anche oggi l’ipotesi partecipativa sia realizzabile, anzi auspicabile. Per altro potrebbe essere una proposta trasversale che, potenzialmente, può coinvolgere non solo gli ambienti che una volta si definivano di “destra sociale”, ma anche gli ambienti cattolici più interessati alla realizzazione concreta della dottrina sociale della Chiesa e tutti coloro che vedono nell’attuale Sistema capitalista una odiosa forma di sfruttamento dell’uomo. Così facendo non solo si realizzerebbe una maggiore giustizia sociale ma anche, come abbiamo scritto sopra, una nuova (e al contempo antica) visione dell’esistenza dove lo Spirito prevale sulla Materia.