1) È uscito, nel mese di Luglio, il volume ‘’Siculi indoeuropei’’, pubblicato da Passaggio al Bosco. Il sottotitolo generale, già di per sé molto chiaro, rammenta le ‘’origini nordiche dell’Ethnos’’. In che modo, queste, si sviluppano e si manifestano?
Buon ritorno a me tra voi, un saluto a voi e a tutti i miei lettori, innanzitutto. Vi rispondo in modo molto semplice. Il grosso testo Siculi Indoeuropei. Le origini nordiche dell’Ethnos è in realtà, e come nel caso del precedente Siculi: popolo Ario venuto dal Nord, una ristampa ampliata, frutto anch’esso di un grande lavoro di ricerca iniziato intorno al 2009 e protrattosi fino al 2016-2017. Ma non è tutto. Io ancora non ho finito sui Siculi, perché avrei da pubblicare tantissimo, viste le pile di appunti che si sono accumulati nel mio studio; e sto parlando solo di Siculi, perché sulle altre popolazioni indoeuropee (Germani, Celti, Italici etc.) ne avrei se non altrettante ancora di più.
Posso solo dirvi che sinora ho pubblicato l’essenziale, quasi direi la propedeutica. Invero, conservo ancora saperi davvero preziosi su questo popolo, frutto di un continuo, incessante lavoro di ricerca, che, attenzione, non conduco solo su esso, ma in contemporanea su tutti gli altri (poiché l’uno mi fa capire gli altri e prima ancora tutti gli altri mi fanno più capire quell’uno).
Come il primo volume, anche questo si dipana tra sinossi molto ampie, mediante confronti attenti, molto accurati e a maglie fitte tra svariate discipline che curano l’antichistica: Archeologia (per quanto riguarda la cultura materiale), Antropologia (fisica e culturale), Linguistica e Glottologia, Filologia (per quanto riguarda le fonti storiche giunteci dagli eruditi antichi), Genetica delle popolazioni etc. Ma la differenza dov’è? Se nel primo volume io sono partito dal dato archeologico, per poi trovare appiglio probatorio nella fonte antica, nell’Antropologia e nella Linguistica-Glottologia, in quest’ultimo il metodo è stato invertito, pur giungendo comunque nello stesso centro del labirinto; dunque trovando sempre la medesima soluzione, il che mi ha confermato molte verità nascoste.
Questo, il secondo, è più filologico, più incentrato sulla Linguistica-Glottologia, da cui poi ci si inerpica nell’Antropologia ed infine nell’Archeologia. Ma il risultato è stato praticamente lo stesso: multidisciplinarità, questa è stata la regola. Questo secondo volume, che non continua il primo, è già stato edito in due tomi con il mio progetto editoriale precedente La Ruota del Sole, ed oggi, ampliato, è stato riedito in un solo ‘’massiccio’’ volume. Alla fine del secondo tomo venne posta l’Appendix riguardante la prima sistematica decifrazione e traduzione della più lunga iscrizione sicula sul vaso della tipologia askós, rinvenuto a Centuripe e attualmente esposto nel Museo Archeologico di Karlsruhe, in Germania.
Una decifrazione e traduzione eseguite con un metodo davvero all’avanguardia, da me affinato in tutti questi anni da vero e proprio milite e pioniere della Scienza indoeuropeistica, che calcola anche a livello cronologico foni (non più fonemi, scendendo ancora più a fondo), tra cui anche fenomeni laringali, e da cui ricavo isoglosse per aree laterali e limitrofe (delimitanti). È il metodo fono-componenziale, che pur tenendo conto delle teorie delle glottidali (o glottali) le scarta a posteriori, dopo sempre ripetute analisi.
Ora, in tutto questo, perché ‘’origini nordiche’’ nell’ethnos dei Siculi? Perché i Siculi e così TUTTI gli Indoeuropei sono nordici, sic et simpliciter. Dai confronti, ripeto, linguistici, glottologici, filologici, antropologici, archeologici, paleogenetici, risulta in modo perentorio, assoluto, che i Siculi e TUTTI gli altri Indoeuropei sono nordici. Tutte le varie teorie ancora in uso presso accademie e altre piazze deliranti sono solo da rigettare in toto, sono semplicemente servite per portare avanti certi piani politici che a livello scientifico sono il nulla totale, come il vuoto pneumatico delle loro teste bacate. Gli Indoeuropei avevano un luogo di origine, una cultura materiale e spirituale, un linguaggio, un aspetto fisico -non erano fantasmi che si aggiravano per far paura ai bambini dei levantini, degli asiatici e dei subsahariani o degli amerindi, o ancora dei pinguini imperatore-, e tutte queste cose portano sempre a Nord, proprio dove il buon Kossinna, Lothar Kilian, Häusler, in un certo senso Giacomo Devoto (la sua individuazione dell’Urheimat nell’Europa centro-settentrionale è assolutamente perfetta, ma per me è anch’essa area raggiunta secondariamente da alcuni gruppi indoeuropei), hanno posto la sede degli Indoeuropei: il Nord Europa, lungo le rive del Mare del Nord e del Mar Baltico, tra Scandinavia ed Europa settentrionale continentale. A modo loro, anche Alinei e Benozzo hanno avuto ragione (a modo loro).
La collocazione della sede ancestrale tra le steppe è semplicemente una balla se considerata per tutti gli Indoeuropei: essa è stata vera come sede secondaria del ramo orientale indoeuropeo, non per quello occidentale o kentum. Sia chiaro una volta per tutte. Lothar Kilian con il suo ‘’Indoeuropeo primordiale’’ (Ureuropaeisch), tra 40.000 e 15.000 BP ha in un certo senso ragione, e ciò trova conferma anche negli studi dell’ucraino Zalizniak. Le analisi paleogenetiche fatte bene e con serietà, tenendo anche conto della cattiva lettura metodologica, se ancora ben calibrate, possono dare un risultato da collegare agli altri dati in sinossi; ma non sempre è facile, ed infatti si vede quanta confusione stanno creando: risultati differenti tra un team e l’altro operanti nello stesso campo; risultati differenti nello stesso team tra un saggio e l’altro, a poca distanza di mesi, non di anni (il caso di Olalde con il bicchiere campaniforme, Allentoft, Saupe, Reich, Armit, Haak, Mathieson etc.).
Quanto portato ancora avanti con orribile presunzione dal Journal of Indo-European Studies è diventato tragicomico: Mallory, Anthony e compagnia ‘’bella’’, che ancora continuano le infondate ‘’teorie’’ della Gimbutas, che a sua volta seguiva quella scuola tedesca migrazionista che faceva capo a Otto Schrader, a sua volta debitrice sia a Bachofen sia a quella visione pansanscritista (da cui pigliava a man bassa anche Childe). Il caso della Gimbutas è davvero penoso, in quanto lei già di suo mai ha fornito una singola prova archeologica o archeolinguistica, e tutto si basava su una sua interpretazione; ma poi è stata volgarmente utilizzata da imbecilli che impropriamente ne hanno fatto un uso New Age, per cui provate a immaginare: distorsione di una interpretazione distorta. I Siculi -altrimenti non finisco più- presentano tratti antropometrici, dati paleogenetici, fisionomia culturale, spirituale e linguistica, assolutamente indoeuropei, nordici per l’appunto.
2) Nella prima parte, si affronta il periodo che intercorre tra il V millennio e il XV Secolo A.C: quali sono le nozioni e i rivolgimenti principali di questo lasso temporale?
Siamo nel Neolitico europeo, l’età della pietra levigata, dell’ascia martello di pietra verde, ed i Siculi ne facevo uso, anche per spaccar le teste dei nemici, come tutti gli Indoeuropei (l’ascia martello è poi divento il Martello del Dio Thorr, l’ascia bipenne del primo Fascio Littorio). Tra il 5000 e il 3000 a.C., dunque fino all’età del Rame, i proto-Illiri lasciano la loro sede di enucleazione come macro-gruppo, tra i fiumi Elba e Vistola, e si spostano a meridione raggiungendo i Balcani. Lengyel, Baden, sono le Culture che lasciano per le nuove eneolitiche balcaniche (è la clade Z dell’Y-DNA R1b). Nei Balcani i proto-Illiri si frammentano: nuovi piccoli gruppi enucleano, tra cui anche i Siculi.
Imparano la metallurgia ma non lasciano mai gli utensili e le tecniche di lavorazione della pietra e delle ossa animali (le frecce di ossa sono penetranti, si rompono dentro i tessuti e si possono fabbricare senza tanti sforzi). Sul finire dell’età del Rame e la fase iniziale del Bronzo (sebbene nei Balcani la metallurgia del bronzo abbia avuto inizio già nel 4500 a.C.), alcuni gruppi di Siculi passano con i Liburni (altri proto-Illiri, enucleati come i Siculi, gli Ausoni et alii) nella prospiciente costa italiana, raggiungendola via mare.
Sono gli insediamenti antichi elencati dal buon Plinio nella sua Naturalis Historia. Si forma la facies pre-rinaldoniana, debitrice, molto legata a quella balcanica; successivamente, altri popoli indoeuropei da Nord scendono su quelle terre: Osco-umbri, che li cacciano verso il versante tirrenico e nella parte più centrale; dove poi, nel XV sec. a.C., arriveranno i proto-Latini (tra cui i futuri Romani), come massima espansione della Cultura terramaricola. Altri guai: i Siculi intraprenderanno il loro cammino dalla Meremma, dall’alto e basso Lazio verso le terre meridionali. Questa è la Parte prima.
3) La seconda parte, invece, affronta la migrazione dal Lazio alla Calabria, avvenuta tra il XV e il XIV secolo a.C.: di che si tratta?
Parte Seconda. I Siculi, a detta di Dionisio di Alicarnasso, lasciano il Lazio e cominciano il cammino verso Sud che li condurrà dai cugini Enotri, dove vengono accolti e diventano anche i primi inter pares nella confederazione delle tribù proto-illiriche della Enotria, che difatti diventa Italia, per via di Italo, che re dei Siculi è stato, non degli Enotri, attenzione (l’attribuzione enotria è solo un errore interpretativo, su cui ho abbondantemente disquisito). I Siculi già se l’erano vista brutta in Campania con gli oschi Opici (non si sa quale rapporto ci fosse stato tra loro e i cugini Ausoni, che comunque in qualche fonte antica vengono scambiati per Siculi, tanto erano simili).
Ma le cose non sono andate tanto bene e così i Siculi lasciano la penisola per la prospiciente Sicilia, ancora terra dei Sicani e pertanto detta ancora Sicania. Elimi, Siculi e Morgeti lasciano la penisola per la Sicilia: siamo nel corso del XIII sec. a.C., tarda età del Bronzo.
4) Questa opera, che segue la precedente pubblicazione dedicata ai Siculi, ha uno spessore decisamente accademico, che lascia trasparire un grande lavoro di ricerca. Puoi parlarci dei tuoi studi e dei tuoi sforzi?
Tutti i miei scritti sono ‘’accademici’’, perché anche io sarei un ‘’accademico’’, sebbene non come gli altri ‘’accademici’’ mi vorrebbero, quelli conformi al vigente sistema del pensiero progressista unico: un loro insipido e viscido alleato; un coglione di sinistra, vuoto e senza ideali se non inebetito da schifezze quali ‘’eguaglianza’’, ‘’femminismo’’, ‘’omofilia’’ e ‘’diritti al gay pride’’, più altre deiezioni woke. Invece no: io sono un tradizionalista, uno, insomma, che fa paura, e con questa scusa mi si oppongono con tutte le loro forze.
Scientificamente parlando, io sono sic et simpliciter un indoeuropeista: mi occupo di Indoeuropei, il che non significa guardare esclusivamente al passato, piangendo nostalgicamente sulle ceneri, ma piuttosto alimentare continuità, venerare il fuoco perenne della Tradizione nostra, proteggendo l’Essere nel Divenire. Ciò si potrebbe -e infatti lo si fa- definire Ariosofia. Niente è fatto a caso, nulla ricade nella casualità nei miei scritti, nelle mie parole -scritte e dette-: premesse, note, immagini, ogni cosa fa riferimento a concetti e cose veri, in essere dunque e sempre presenti, reali, nel divenire. Tutto ha e deve avere sempre un senso.
La ricerca è dunque tale perché ha questo stesso senso: il mezzo del nostro viaggio nella vita terrena fino al nostro adempimento che è il raggiungimento della Fonte primigenia, la sede degli Altissimi, là al Noûs, al grande Centro dello Svastica. I miei studi si sono sempre concentrati su questo, i miei sforzi fisici e mentali anche. È il mio dovere di uomo, di essere esistente; è il mio dovere di indoeuropeo conoscere e proteggere, venerare e adempire ai principi della Tradizione indoeuropea.
5) In un tempo liquido, dove le origini sono spesso cancellate, credi sia importante indagare le fonti del radicamento dei popoli? E quanto, colpevolmente o meno, la cosiddetta “cultura ufficiale” tende a livellare, omettere o stravolgere il nostro retaggio?
In un’epoca del genere, che è solo degenere, ovviamente è l’unica nostra vera arma per proteggere noi stessi, credetemi. Più che un’epoca liquida trattasi di epoca liquame, generata da ciò che è in totale opposizione all’essenza della Tradizione indoeuropea.
Ma è chiaro: per opporsi così alla nostra Tradizione, ciò significa che la nostra Tradizione è potente, sebbene ottenebrata dalle spire di questo immane serpente delle sabbie desertiche orientali. Pertanto, la nostra vera salvezza è mantenersi saldi alla Tradizione nostra: ascoltare il canto delle sirene per conoscerlo molto bene, senza MAI cadere però nelle trappole, e dunque vincere superando ogni letale avversione posta dal sistema abramitico e lobbistico, chiamato ‘’cultura ufficiale’’.
Femminismo, omofilia, anti-patriarcato, anti-razzismo, anti-tradizionalismo, scemenze arcobaleno e woke, sono tutti i tentacoli di questo mostro; la Tradizione nostra naturalmente si oppone a tutto questo, ne è l’assoluta antitesi, dunque rimanendo saldi alla nostra Tradizione noi ci salveremo e continueremo a vivere, a esistere. Invece di violentare il vostro cervello con sozzerie varie scritte da qualche ‘’sessuologo’’, da qualche ‘’pornocrate pornomane’’, da qualche libertario drogato, provate a leggere Diodoro Siculo, Dionisio di Alicarnasso, Platone, Aristotele, Plutarco di Cheronea, le saghe islandese, i Veda (e mi fermo qui), e vedrete come il vostro cervello riprende a funzionare alla grande, a ricevere ossigeno, a ringiovanire con parole antichissime.
Siamo ognuno su questa Terra perché ci hanno qui portato, un uomo e una donna, nostri genitori, che nella loro unione spirituale e fisica hanno ripetuto il Mito della creazione dell’Universo. Nei nostri Miti ogni elemento è cosmogonico, non dimenticatelo: tutto si ripete per rigenerarsi ed essere perenne; nella concezione abramitica tutto è lineare perché si prefigge uno scopo preciso da raggiungere, che è la dissoluzione nell’indeterminato.
Noi abbiamo ben altri e alti, altissimi, fini nella nostra Weltanschauung: portare a compimento un ciclo per rigenerarci sempre più grandi, per purificarci ed essere pronti al ritorno alle sacre Origini. Che a questo triste scenario partecipino i deboli, i malfattori di sé stessi, coloro che mai potranno capire ed essere parte di questo grande ciclo di perfezione e di elevazione. Il vero radicamento dei popoli si fonda proprio su ciò: ricercare le vie che ci conducono alle Origini, sapere che l’attuale custode della fiamma della Tradizione è colui che ha ricevuto questo grande compito dai suoi antenati, che assieme a lui creano appunto questo ciclo di perfezione e purificazione.
Questi laidi operatori del male che vogliono a tutti costi interrompere il nostro sacro cammino di purificazione spirituale e fisica non hanno mai fatto i conti con la voce del sangue e la forza dello spirito, i due assi della Ruota solare indoeuropea, che Natura Duce trionferà sempre.

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