Lo scontro politico in atto fra Stati Uniti e Unione Europea a molti commentatori pare inaudito, caos indotto dall’imprevedibilità d’un presidente come Trump e dal portato ideologico che l’ha condotto alla Casa Bianca. Vero, è un’inversione a U dei tradizionali canoni USA che confonde, ma che diviene assai più comprensibile se si tengono in conto alcuni fattori.
Primo: se ci si scosta da tifoseria e cronaca ci si accorge che, per ironico contrappasso della Storia, dopo aver attuato infiniti rovesciamenti di regime in giro per il mondo, Washington ha subito un cambio di regime, una rivoluzione che sta travolgendo i pilastri del suo potere, quanto di esso e quanto solido rimarrà lo dirà il futuro. Secondo: il passaggio non segna solo la conclusione dell’autodistruttiva deriva liberal inaugurata da Obama, è la fine dell’era imperiale americana inaugurata da Woodrow Wilson; evento cruciale per il mondo ma, in modo particolare, per l’Europa che di quell’impero era provincia e di esso rimane ostinatamente vassalla anche quando è tramontato. Altro non sa pensarsi una classe politico-burocratica allevata per tre generazioni a pane e Washington. Assoggettata e succube dell’America che fu, dei suoi miti e della sua ideologia di cui è dolente orfana, stordita da ciò che è divenuta l’America di oggi.
Ciò che è in atto negli USA è il radicale cambiamento d’un ciclo politico di lungo, lunghissimo periodo, che si fonde col tramonto degli equilibri globali di cui gli Stati Uniti si pretendevano egemoni. Quella che è entrata alla Casa Bianca, buttando fuori chi si sentiva establishment per diritto naturale, è un’America che rifiuta l’impero perché stanca di sostenerne il peso senza percepirne i dividendi; che pretende sì d’essere eccezionale, ma non si cura di rendere il mondo a propria immagine, gli basta sfruttarlo, imporre le proprie convenienze a discrezione. È un’America che non vuole essere parte di altro che non sia se stessa. Non è più Occidente, è America centrata su se stessa.
E per comprendere dobbiamo intenderci su cosa sia Occidente: quello vero, di Ernst Jünger e Carl Schmitt, era già tramontato oltre un secolo fa, quello cui si fa riferimento oggi non ha nulla a che fare con esso. È stato il fresco impero americano a raccoglierne il marchio nel 1945, a conclusione del ciclo di guerre che avevano reso l’Europa serva e spaccata in due. Il novello impero scippò quel marchio agli sconfitti e lo fece proprio, riempiendolo di contenuti propri che poco o nulla avevano a che fare con quelli precedenti. Si chiamava Occidente, sì, ma era americano, contraddizione in termini per chi quel concetto aveva studiato nel passato, catalogando gli Stati Uniti, al pari di Gran Bretagna e Canada, altra cosa, distinta dallo spazio europeo, era area atlantica.
Ora l’America, dismesso l’impero, è tornata alle origini, a Fortezza America sublimazione della Dottrina Monroe. Ma l’impero europeo dell’America, per tre generazioni ingabbiato da NATO e UE, suo braccio militare e politico, ha prodotto un establishment che si tiene ostinatamente a quel canone perché è l’unico che riconosce, è l’unico coerente alla sua sfera di potere. C’è questo dietro le allucinate dichiarazioni di personaggi come Kaja Kallas, quando chiedono che l’Europa debba prendere lo scettro della liberal-democrazia, assumere la leadership di un sedicente “mondo libero” per “sconfiggere Russia e Cina”.
Dichiarazioni tragicomiche di analfabeti geopolitici: per amaro che possa suonare, l’Europa è un’espressione geografica, non è mai stata soggetto politico, meno che mai ai giorni d’oggi, quando anche i suoi paesi principali hanno del tutto cancellato l’esercizio concreto della sovranità. Ed è bestemmia equiparare Europa e UE come pretende il mainstream. Erano province del suo impero e Washington ha permesso una loro aggregazione su base economicista per meglio controllarle; parafrasando una celebre frase di Kissinger, per avere un numero telefonico che le contattasse tutte.
L’Europa non s’è mai data strategia comune che non fosse emanazione degli interessi di Washington, e la deriva degli ultimi anni lo dimostra; una UE del tutto sovrapponibile alla NATO, succube anche quando i suoi reali interessi gridavano l’opposto. Il fatto è che oggi gli strumenti dell’impero – NATO e UE, appunto – sono stati dismessi dal nuovo corso instaurato a Washington, che non vuole partner ma strumenti, soggetti da spremere senza neppure salvare la facciata. In tutto ciò, i paesi europei sono vasi di coccio nella partita a tre fra Stati Uniti, Russia e Cina.