Il concetto di Trap nasce nella prima metà degli anni ’90 negli USA e si lega a quel filone di tematiche portate alla ribalta dall’evoluzione della cultura Hip-Hop. Deve il suo nome alle cosiddette Traphouse, luoghi spesso occupati in cui viene prodotta e consumata droga di qualunque tipo, ed è proprio all’interno di queste cascine malmesse che si sperimentano diverse tematiche e sonorità musicali.
Grazie al contributo di artisti del calibro di Gucci Mane, Future, Young Thug e i Migos, i concetti tipicamente espressi dal GangstaRap vengono ripresi e rielaborati, passando dalla denuncia sociale all’esaltazione della vita di strada. La quotidianità del ghetto diventa motivo di vanto e di street credibility, concetto che indica l’appartenenza dei trappers a realtà complesse condizionate dalla malavita organizzata e da crimini di piccola o grande portata che spaziano dallo spaccio all’omicidio. Oltre a ciò si unisce l’idea di flexare ossia ostentare i propri beni materiali e così vestiti di lusso, orologi e auto sportive da milioni di dollari vengono mostrati nei videoclip delle canzoni, aumentando la visibilità (grazie soprattutto ai social e a programmi TV quali MTV) e l’interesse dei giovanissimi verso questa wave.
Ben presto, come ogni buon prodotto di matrice yankee, la Trap si diffonde in Europa partendo dall’Inghilterra, più precisamente nei blocchi dei quartieri popolari di grandi città industriali quali Londra e Manchester. Dalla Gran Bretagna avviene la diffusione a livello continentale di questo genere e ben presto in Italia, Francia, Germania, Spagna e molti altri paesi si diffondono decine di artisti che interpretando e rielaborando i testi e le musicalità delle grandi etichette di Atlanta, Chicago e New York, iniziano a trappare. Quasi in contemporanea si diffonde sia nel Vecchio Continente che sull’altra sponda dell’Atlantico un sottogenere della Trap chiamato Drill, caratterizzato da testi più violenti e beat aggressivi, con l’intento di mettere in luce l’oscurità vissuta dai giovanissimi artisti (la Drill nasce nel Southside di Chicago nel 2012 circa e i principali interpreti sono Chief Keef, Lil Durk e Fredo Santana; presto dall’Illinois di sposta a New York, nel New Jersey e nel Regno Unito).
In Italia la Trap arriva nel 2014 ed esplode definitivamente nel 2015 grazie ai progetti musicali di collettivi quali la Dark Polo Gang e artisti come Sfera Ebbasta, Ghali, Tedua, Rkomi e Izi. Rime crude, sonorità innovative e vestiti di marca, portano i trappers a scalare le classifiche musicali e ad oggi le canzoni trap contano miliardi di streams e milioni di ascoltatori in tutta la Nazione.
Ma la musica Trap è da rigettare in toto? Forse non del tutto. Seppure questo genere di derivazione angloamericana si basi sull’ostentazione, sul rifiuto di valori spirituali, sul consumismo e sulla misoginia, è possibile dare una lettura interpretativa differente ai testi delle canzoni. Innanzitutto c’è da dire che la musica trap e tutte le sue derivazioni, Drill per prima, hanno avuto il grande pregio di portare alla luce problemi di vita quotidiana, non solo nei quartieri popolari ma soprattutto nelle grandi città italiane ed europee legati alla delinquenza fomentata dall’immigrazione clandestina incontrollata. In secondo luogo, la maggior parte dei trappers, sia italiani che immigrati di seconda o terza generazione, attraverso le rime raccontano le realtà delle proprie zone, borgate o città, dimostrando due cose fondamentali: primo l’attaccamento inconscio alle proprie origini e secondo la debolezza delle sedicenti istituzioni democratiche. Molto spesso infatti si sentono nelle liriche racconti e citazioni legati a specifici luoghi di provenienza dei cantanti e non è raro che i nomi d’arte, i tag, i gruppi e le etichette discografiche facciano esplicito riferimento a città o quartieri (un esempio lampante è il trapper Rhove che deve il suo nome d’arte al comune di provenienza, ossia Rho). Spesso caratterizzati da contesti violenti, questi luoghi il più delle volte sono l’unica realtà che conoscono e la musica diventa l’unica alternativa legale per uscire da tali contesti nonché modo per denunciare lo stato di abbandono in cui vengono lasciati a loro stessi i cittadini italiani. Il concetto diventa ancora più calzante quando si pensa a trappers di origine africana che spesso riempiono le prime pagine dei giornali con le loro bravate o i videoclip delle canzoni in cui vengono mostrati interi quartieri con una spaventosa e massiccia presenza di immigrati, dimostrando la totale inefficacia dell’integrazione e la necessità di misure più rigide per invertire la rotta. Il fallimento e la corruzione delle istituzioni democratiche si denota anche nelle critiche sociali non strettamente legate alla delinquenza; un esempio c’è lo fornisce il rapper tarantino Kid Yugi che tramite rime colte e scorci di vita quotidiana, denuncia in diversi pezzi l’inquinamento dovuto alle acciaierie ILVA nella regione, frutto dello sfruttamento turbocapitalista e della non curanza per la salute dei cittadini e dell’ambiente.
Oltre a ciò va aggiunto che nonostante “noi non siamo uomini d’oggi”, come dice una vecchia canzone, bisogna considerare che il mondo è in continuo mutamento e così anche la musica. Restare ancorati alle stesse canzoni e alle stesse sonorità di vent’anni fa, non fa altro che marcare la distanza che vi è tra Noi e il resto del mondo, che seppur disprezziamo non possiamo certamente ignorare. Proprio come abbiamo fatto per la musica Oi!: nata in contesti distanti e quasi opposti a quelli del mondo Identitario, siamo riusciti a tramutare questo genere musicale e la sua cultura sino a renderlo parte integrante della nostra concezione comunitaria e sociale. La forza attrattiva della cultura Hip-Hop andrebbe pertanto accolta e rielaborata dagli artisti della Nostra area, accogliendone sonorità, sottigliezze e tematiche in grado di restituire una valida alternativa alla musica commerciale di tutti i giorni. Da sottolineare è l’evento organizzato un anno fa dai militanti di Avanguardia Torino Rap per la Nazione, in cui diversi artisti italiani ed europei hanno portato sul palco la voce dei nazionalisti europei grazie a rime crude, dirette e politicamente scorrette. Da diversi anni i romani Drittarcore e i vicentini Quen Reborn hanno iniziato a sperimentare musicalmente e a rappare, dando un segnale forte e deciso a coloro che ci vogliono fuori dalla pop culture. È proprio seguendo il loro esempio che dovremmo “cavalcare la tigre” e non lasciarci travolgere dall’onda del progresso, auspicando che sempre più artisti della scena identitaria si interfaccino alla musica Trap e risveglino il senso di inquietudine stagnante in cui milioni di giovani si ritrovano.
In conclusione il fenomeno della musica Trap in Italia, sotto uno spesso velo che rasenta il ridicolo grazie al suo ostentamento dei valori mercantilistici (tipicamente americani) e l’incoraggiamento alla delinquenza, offre diversi spunti di riflessione. Essa infatti mette in luce le stesse problematiche legate all’inettitudine dello stato post Seconda Guerra Mondiale che viviamo tutti i giorni in quanto italiani e nazionalisti, dandoci però modo di vedere le cose da un altro punto di vista: quello di chi contribuisce al degrado della nostra Nazione.