Pugilato, disciplina nobile e spesso fraintesa. Cosa ti ha spinto a scriverne?
L’idea di scrivere un saggio sulla “nobile arte” risale alla metà del 2021. La prima bozza del libro aveva una struttura prettamente narrativa e artistica, ma ben presto mi resi conto che una simile impostazione avrebbe inevitabilmente finito per tralasciare l’elemento storico di questo sport. Dopo una seconda revisione, scelsi di unire il meglio delle mie idee iniziali, e il risultato è un libro che parla sì del pugilato, ma lo fa senza trascurare i necessari riferimenti culturali e di costume delle varie epoche storiche. “La danza sul ring” è dunque rivolto tanto ai neofiti, quanto a coloro che pur già sapendo, desiderano riscoprire quei campioni che hanno plasmato, con le loro gesta, la storia del pugilato.
Il titolo del libro, “La danza sul ring”, pone un parallelo diretto con le arti coreutiche. Danza e pugilato sono davvero espressioni della medesima armonia tutta europea?
Nel suo “Teofania”, Walter F. Otto distingue tre livelli per cui la divinità afferma sé stessa miticamente. Il secondo livello – in particolare – è la manifestazione del mito come forma nel movimento e nell’azione dell’uomo. L’incedere solenne, il ritmo e l’armonia delle danze, e tutto ciò che vi è di consimile, sono testimonianze dirette di una verità mitica che vuole venire alla luce. Questo elemento è sempre stato persistente nelle società europee, e anche oggi, nonostante la secolarizzazione imperante, gli eventi liturgici non rappresentano solo una banale celebrazione commemorativa, bensì l’evento divino nel suo costante ripresentarsi. La boxe – ai suoi albori – è uno sport basato essenzialmente sulla forza bruta. Solo molti secoli più tardi, tramite l’operato del Marchese di Queensberry, il pugilato è destinato a vivere una fase di rinascita, dandosi nuove regole e una struttura tipica degli sport moderni. Tra il XIX e il XX secolo, nascono in Europa varie palestre, distinguibili in due scuole di pensiero: chi preferisce la tecnica, chi l’agilità. L’elemento coreutico diventa – quindi – parte integrante del pugilato, e la lotta e la danza trovano così un punto di incontro in seno al contesto sociale europeo.
Quali doti è importante che un giovane possieda per decidersi a salire sul ring, e rimanervi proficuamente?
Il rispetto per gli altri, la disciplina e la costanza. Per esperienza personale, posso dire che il pugilato inteso come sport individuale è una falsa concezione. In palestra siamo una squadra: tanto è lo sforzo collettivo, tanto il supporto reciproco. La boxe è davvero una scuola, qualcosa che rieduca, e aiuta a capire come funziona la vita: i risultati arrivano con i sacrifici, il duro lavoro e nient’altro. Ne vale la pena, perché la soddisfazione poi è massima. Certo, esiste anche chi getta la spugna senza neanche provarci, ma ciò non scalfisce l’importanza della “nobile arte” come sistema educativo.
Yukio Mishima, in “Sole e Acciaio”, ricorda a tutti quanto sia importante che la crescita spirituale e quella fisica progrediscano unite. In che modo il pugilato – come tutte le discipline marziali, del resto – può aiutare un ragazzo a riconquistare la parte migliore di sé, e metterla a frutto?
Come scrivo nella mia introduzione al libro, ci è dato di vivere in una ‘società della positività’, perennemente tesa a cercare di sbarazzarsi di tutto ciò che è negativo. Il dolore è la negatività per antonomasia, e nella percezione contemporanea, ciò lo priva di qualsiasi potenzialità espressiva. Non solo i valori culturali, ma anche l’esistenza stessa inesorabilmente si trasforma in una cura palliativa, come la definisce il filosofo Byung-chul Han, del tutto priva di conflitti, contraddizioni e sofferenza. In queste condizioni, le palestre che praticano la boxe sono piccole oasi, che consentono al ragazzo di garantirsi una formazione completa su quanto concerne ciò che gli antichi greci chiamavano thymos, ossia la sede delle emozioni nell’animo umano. Lo stesso Ernst Jünger, in “Foglie e pietre”, definisce il dolore un parametro in base al quale l’uomo dà un significato alla propria esistenza. In poche parole, il dolore è la prova più dura in quella catena di prove che è, come si suol dire, la vita umana.
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