Ci hanno provato in tutti i modi, ma non ci sono riusciti. Nell’eterna battaglia delle opposizioni progressiste, rimaste evidentemente “orfane” della loro perduta “egemonia culturale”, prima marxista-leninista, poi sessantottina e maoista, e infine radical-chic, frutto talmente maturo da essere marcito, hanno tentato dicevo di “ridicolizzare” in tutti i modi, non solo e non tanto l’azione politica dell’attuale governo di Destracentro a trazione Fratelli d’Italia, ma soprattutto, hanno colpito il più duro possibile qualsiasi tentativo di “mutamento culturale”, inteso sia in senso “alto” che “popolare” e dei costumi. Siamo ancora lontani dal rovesciamento, limiti e difetti nell’azione politica e culturale della Destra restano, dubbi e critiche sono lecite, persino doverose, ma non abbiamo alternative se non accontentarci di quello che abbiamo finora ottenuto, e impegnare ogni nostro sforzo per migliorare e ampliare il nostro successo. E tra gli obiettivi invisi dal “Campo largo”, c’è stata la mostra “Il Tempo del Futurismo”, allestita alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma, fortemente voluta dall’ex ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano e portata avanti dal neo-ministro Alessandro Giuli, che ha avuto un successo strepitoso, toccando – al momento in cui scrivo – 103.593 ingressi dal giorno della sua apertura il 3 dicembre al 2 marzo, tanto da indurre a prorogarla.
«Il Futurismo – ha commentato il ministro della Cultura, Alessandro Giuli – ha fatto breccia nel cuore degli italiani, che in questi mesi stanno scoprendo o riscoprendo il senso e il significato di una delle principali avanguardie del Novecento. Il traguardo dei centomila visitatori alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, raggiunto, non è soltanto un successo espositivo, ma la conferma che il Futurismo è stato ed è ancora un’onda d’urto che ha scosso le fondamenta della cultura del Ventesimo secolo».
Un primo precedente, lo avevamo avuto nel lontano 2001, ai tempi del secondo Governo Berlusconi, quando sulla RAI andò in onda una delle più interessanti trasmissioni della storia della televisione pubblica italiana: “Le intelligenze scomode del Novecento”, dove si dibatteva di futurismo, ma non solo, con interventi di numerosi intellettuali di area liberale, conservatrice e nazionale. Un secondo esempio è stata una bellissima mostra di qualche anno fa al Palazzo Blu di Pisa, eccellente spazio espositivo, che dedicò una esposizione all’arte futurista. La mostra “Il Tempo del Futurismo” è il suo coronamento.
Il ministro Giuli, ha fatto sapere di salutare «con soddisfazione la decisione presa dalla direzione della Gram-C di prorogare di due mesi l’allestimento della mostra, che consentirà a quanto più pubblico possibile di godere delle opere esposte».
È necessario ricordare che l’intenzione di lanciare questo progetto, ha sin dall’inizio suscitato polemiche. Vorremmo chiederci: perché? Si nega il valore artistico-culturale del futurismo? Si polemizza con questa avanguardia perché quasi la totalità dei suoi protagonisti aderirono con convinzione al fascismo? Quindi si pretende una “censura preventiva” nei confronti di qualsiasi forma di arte e cultura che non sia legata alla passata, e tramontata, egemonia socialcomunista? Oppure si nega all’attuale governo il diritto-dovere di promuovere iniziative culturali, o quantomeno, di orientamento nazional-rivoluzionario? Ci sono cioè delle idee che sono da considerare dei tabù? Se le risposte sono dei sì, rispondiamo con forza che non ci faremo intimidire e porteremo avanti ogni iniziativa culturale che riterremo più opportuna, senza per questo pretendere di chiudere la bocca a idee “divergenti” con quelle oggi dominanti.
C’era anche chi aveva ridicolizzato l’iniziativa del governo, prevedendone l’insuccesso. I numeri sopra citati, hanno sfatato queste previsioni, ridicolizzando chi voleva ridicolizzarci (ricordiamo che la mostra ha avuto un risalto anche internazionale).
Andiamo avanti perciò, con due ultime postille: 1. In tempi di “rivoluzione digitale”, di smartphone e social, il futurismo, non solo è più attuale che mai, ma si dimostrò all’epoca “preveggente”, e sarebbe opportuno chiederci come si dovrebbe attualizzare oggi e domani una tale visione, passando dal futurismo al “digitalismo”. 2. È però necessario ricordare, soprattutto in tempi di Intelligenza Artificiale (quest’ultima getta a mio parere un’ombra minacciosa sul presente e sul futuro), che il futurismo era l’esaltazione della modernità e della “società delle macchine”, a condizione che esse fossero strumento dell’uomo, mentre la “tecnocrazia” attuale, rischia (o l’azione è già in atto), di rovesciare i piani, e pone la macchina al di sopra dell’uomo. Qui si confonde il futurismo con il cyberpunk, che sono due correnti completamente diverse, oserei dire, opposte. L’interazione tra uomo e macchina, o peggio: la “compenetrazione”, la profanazione della carne, del corpo e della mente dalla macchina, è qualcosa di orrido e distopico che deve spaventarci, farci riflettere sul pericolo che la tecnologia – controllata a sua volta da un capitalismo finanziario – possa disumanizzare, alienare il mondo.
Mai fu tanto attuale il pensiero dell’immenso filosofo dell’esistenzialismo, Martin Heidegger, che metteva in guardia verso un modernismo – che è cosa diversa dalla “modernità” – che rischia di schiacciare l’uomo dalla macchina, un pensiero, quello di Heidegger che indubbiamente ispirò molto Stanley Kubrick sulle sue profetiche riflessioni filosofiche e teologiche contenute nel suo capolavoro cinematografico “2001: Odissea nello spazio”, e che sembrano avverarsi: non tecnologia al servizio di un uomo che resta “autonomo”, bensì, l’uomo schiavo della macchina, o addirittura divenuto inutile e superfluo: storicamente superato. Un pericolo talmente “impattante” che sembra rendere sempre più difficile anche il “Passaggio al bosco” suggerito da Ernst Jünger, quasi che solo l’uomo “selvaggio” possa scampare dalla tecno-modernità onnipresente, talmente invasiva da porre sia problemi economico-sociali (quanti posti di lavoro stanno andando perduti a causa dell’automatizzazione e della AI), ma soprattutto sul piano etico e ontologico, la “spersonalizzazione”, la “perdita dell’anima” come neppur nel peggior incubo kafkiano si sarebbe potuto prevedere, o un futuro distopico di orwelliana memoria. Non era questo il sogno dei futuristi, e non può essere questo il futuro desiderato da chi si pone su un campo ideale “nazional-rivoluzionario” o “conservatore”. Che sia il “Il Tempo del Futurismo” e non il tempo dell’annichilimento umano.