Carl Philipp Gottlieb von Clausewitz nacque a Burg bei Magdeburg nel 1780, ai vertici dell’esercito prussiano fu tra i principali attori nelle guerre napoleoniche, è ormai “immortale” grazie al trattato di strategia militare “Della guerra” (Vom Kriege), edito nel 1832. Quasi tutta la sua vita si svolse sotto il regno di Federico Guglielmo III, si arruolò nell’esercito prussiano già in prima adolescenza. Nel 1794 fu nominato ufficiale con compiti di guarnigione fino al 1806. Strinse amicizia con Gerhard von Scharnhorst, uno dei generali prussiani di punta, e fu da lui introdotto a corte. Avendo aderito la Prussia alla coalizione antifrancese nel 1805, nel 1806 partecipò alla campagna militare che si concluse con la sconfitta di Jena, dove venne fatto prigioniero dai francesi. Con la pace di Tilsit nel 1807 rientrò in Prussia, dirigendo con Scharnhorst la riforma delle Forze Armate.
Nel 1810, promosso maggiore e sposatosi con Marie von Brühl, ottenne la cattedra all’accademia militare (da poco ricostituita dall’amico di sempre Scharnhorst), e responsabile della formazione militare del principe ereditario, poi Guglielmo I, per il quale scrisse nel 1812 un volumetto: “Principi della guerra”. Sempre nel 1812, in disaccordo con la linea politica filofrancese imposta dalla pace di Tilsit, rassegnò le sue dimissioni dall’esercito prussiano e si arruolò, assieme a Scharnhorst e August von Gneisenau, in quello russo. Membro dello Stato maggiore russo, prese parte alla campagna del 1812 sul fronte baltico e fu tra i protagonisti dei negoziati che spinsero la Prussia ad abbandonare la coalizione napoleonica. Ritornato nell’esercito prussiano, partecipò alla vittoriosa campagna del 1813-1814 (battaglia di Lipsia) e a quella conclusiva del 1815, anche se non partecipò direttamente alla battaglia di Waterloo. Promosso generale nel 1818, si aspettava di poter ricevere adeguati riconoscimenti dal sovrano prussiano ma, sospettato di essere un riformista, venne nominato amministratore capo della scuola di guerra di Berlino, carica che tenne fin quasi alla sua morte.
Dal 1818 al 1830 lavorò alla sua punta di diamante, lo scritto “Della guerra” (Vom Kriege), senza però che tutto questo periodo fosse sufficiente a fargli concludere il lavoro. A causa dell’insurrezione polacca del 1831, fu richiamato in servizio attivo come capo di stato maggiore di Gneisenau e inviato sul fronte polacco, ove morì per la medesima epidemia di colera che uccise anche Hegel. A partire dal 1808 iniziò a lavorare ad una monumentale raccolta saggistica sulla storia militare prussiana e sulla storia militare del XVIII secolo. Inoltre, analizzò le guerre napoleoniche in brevi saggi, libri, articoli adottati nelle accademie militari prussiane ed in seguito di altri principati tedeschi.
Il volume: “Della guerra” fu utilizzato successivamente nei corsi d’accademia di molte nazioni non solo europee, rivelandosi come testo fondamentale di teoria bellica. La sua diffusione si amplificò dopo la guerra franco-prussiana, quando nelle accademie si diffuse un vero e proprio interesse e grande ammirazione nei riguardi dell’esercito tedesco, che era riuscito a sconfiggere l’esercito francese, considerato il migliore al mondo. Il pensiero di von Clausewitz fu influenzato dalla filosofia hegeliana e per questo la pregevolezza delle sue opere fu spesso ricondotta nell’alveo accademico universitario. Tra il 1832 e il 1837, la moglie pubblicò la sua opera: VIII libri, anche se incompleta. “Della guerra” è il fondamento principale della teoria strategica contemporanea per il suo realismo e per la sua completezza concettuale, tanto da oltrepassare l’ambito militare e influenzare la politica e le scienze umanistiche. Il dominio politico-filosofico della guerra sono strettamente correlati con essa. Celebre la sua frase:
“La guerra non è che la continuazione della politica con altri mezzi. La guerra non è, dunque, solamente un atto politico, ma un vero strumento della politica, un seguito del procedimento politico, una sua continuazione con altri mezzi”.
Con questo enunciato von Clausewitz sostiene che in una comunità la politica, e l’azione di governo, sono gerarchicamente superiori alla guerra e la utilizzano come strumento per i propri scopi. Non è possibile concepire un progetto bellico se non sussiste una comunità politica che lo decida. Inoltre la natura della guerra è la risultante di tre forze indivisibili: il cieco istinto (odio, inimicizia, violenza primordiale), la libera attività dell’anima (valore militare, gioco d’azzardo e calcolo delle probabilità, strategia) e la pura e semplice ragione (politica), che è l’unico elemento razionale:
“Il primo di questi tre aspetti riguarda particolarmente il popolo; il secondo, il comandante in capo e il suo esercito; e il terzo il governo”.
Queste convinzioni formano il contesto necessario entro cui comprendere altre affermazioni più “tecniche”:
“La guerra è un atto di violenza il cui obiettivo è costringere l’avversario a eseguire la nostra volontà”.
Clausewitz fu il primo teorico militare occidentale a prendere in esame l’importanza del sentimento bellico, dell’animo del comandante, dei soldati e del popolo. Nel suo libro, contrastando le idee di Kant espresse nell’articolo Risposta alla domanda: che cos’è l’Illuminismo? sostiene che il sottoposto non è costretto ad accettare ciecamente gli ordini e le imposizioni del suo superiore, ma deve invece essere critico nei suoi confronti. Questa idea verrà poi rifiutata dai generali tedeschi della seconda guerra mondiale: in particolare possiamo leggere nella biografia di Friedrich Paulus, ad opera di suo figlio, la sua cieca obbedienza anche quando gli ordini tattico-strategici di Adolf Hitler erano contrari ai suoi. La fortuna del Della guerra toccò il culmine negli anni appena precedenti alla prima guerra mondiale, quando divenne una sorta di testo sacro per gli alti comandi tedeschi e non solo. Anche sotto il profilo politologico gli autori novecenteschi ricevettero, dalla lettura del testo, numerose suggestioni.
La sfera di settore anglosassone, in seguito, stigmatizzò parzialmente il volume sul piano teorico. Cursori furono Il capitano Basil Liddell Hart, storico militare e teorico delle forze corazzate di formazione antropologica e lo storico militare John Keegan. Le critiche si concentrarono soprattutto sul fatto che gli scritti di von Clausewitz risultavano validi solo nel caso specifico delle guerre combattute tra potenze sovrane dell’Europa occidentale, e che alcuni dei precetti tattici da lui descritti risultavano datati, retorici o dogmatici. Le critiche però non oscurarono la fortuna dell’opera, che tra le due guerre conobbe molte ristampe e traduzioni, risultando ancora oggi letta e molto apprezzata. Carl Philipp Gottlieb von Clausewitz si spense a Breslavia nel 1831.