Donne, insorgete contro l’inclusività!

Mag 25, 2024

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Come recuperare la consapevolezza di noi stessi, quando ci è proibito distinguere, scegliere, preferire? Come continuare a vivere in un mondo senza limiti, se vogliamo delineare la nostra esistenza? Esistere significa disegnare una cornice, tracciare dei limiti. Io sono me stesso perché posso distinguermi dall’altro e le differenze si concretizzano esclusivamente tramite la discriminazione, ossia la distinzione in seguito alle classificazioni di attitudini che generano diversità. È proprio nella diversità che si propaga l’autenticità individuale, radicandosi nella bellezza. La bellezza è ritmo, equilibrio e solarità: è ciò che evoca in noi uno stato di armonia capace di strappare un sorriso al cuore e non solo agli occhi, perché la bellezza è una forma di amore e valorizzazione delle diversità. Questa pungente sinfonia potrebbe nuocere gravemente la salute mentale degli zombie politically correct, ma la verità fa male quando la realtà è stata completamente distorta dalle menzogne ideologiche.

Viviamo nell’era in cui si sterilizzano le diversità in nome delle famigerate “quote rose”, viene contrabbandata l’uguaglianza tra generi discriminando (per usare un termine eccitante per i politically correct) le diversità antropologiche tra Uomo e Donna in nome della nuova corrente modaiola chiamata inclusività.

Quant’è inclusivo ed egualitario la società attuale? Per rispondere a questa domanda basta rispolverare la legge n. 380/1999, che sancisce l’ammissione delle Donne all’interno delle forze armate. Un grande passo in avanti verso la tanto decantata inclusione che a sua volta si rende protagonista di discriminazione di genere. Le selezioni per arruolarsi dell’esercito italiano come volontario in ferma prefissata si basano sui seguenti parametri:

  • corsa piana 2000metri – tempo massimo – Uomini 11 minuiti, donne 13 minuti

  • piegamenti sulle braccia – Uomini minimo 12 flessioni, donne minimo 2 flessioni – tempo 2 minuti senza interruzioni

  • sollevamento ginocchia al petto – Uomini minimo 15 sollevamenti, donne minimo 10 sollevamenti tempo 1 minuto senza interruzioni.

È evidente una disparità tra sessi opposti: vengono applicati gli “sconti di genere” nei confronti delle donne, negando loro l’opportunità di esprimersi alla pari degli Uomini. Nella tanto decantata società inclusiva, pur di includere, viene negata la possibilità alle donne di esprimersi nella loro pienezza.

La storia dell’essere umano insegna che l’unicità e la grandiosità della Donna non si basa su parametri, punteggi e concorsi che prevedono l’inclusione forzata, ma si fonda sulla capacità intrinseca della Donna di esprimersi attraverso la sua antropologia e le sue virtù. Esistono decine e decine di esempi che danno lustro alle attitudini femminili, da Giovanna d’Arco – donna d’altri tempi che guidò l’esercito francese durante l’assedio alla città di Orléans contro l’invasione inglese – ad Amelia Earhart, ricordata per il suo temperamento ribelle, anticonformista e dissidente, che la portò a solcare gli spazi illimitati del cielo divenendo la prima aviatrice e contraddistinguendosi per le sue numerose imprese. Earhart riuscì a infrangere le barriere di genere nel mondo dell’aviazione, dominato da piloti uomini. Nel 1932 divenne prima donna ad attraversare in volo gli Stati Uniti senza scalo, partendo da Los Angeles e arrivando a Newark (New Jersey). Divenne poi la prima aviatrice ad attraversare il Pacifico, da Oakland a Honolulu, nelle Hawaii. Italo Baldo ebbe una fascinazione per questa eroina, che conquistò le cineprese dell’Istituto Luce grazie alla sua arditezza. Ma possiamo citare anche Caterina di Russia II, imperatrice affascinata dal “dispotismo illuminato”, grazie al quale rinvigorì l’educazione e la cultura nella sua madre patria; Cleopatra, la più autorevole monarca della tarda dinastia tolemaica, dotata di genio politico, straordinariamente colta e lungimirante, Donna che denotò le altezza politiche e spirituali dell’era predinastica; Piera Gatteschi Fondelli, prima donna generale di Brigata al Mondo, partecipò alla Marcia su Roma, nel corso della sua giovinezza di contraddistinse per le sue spiccate doti organizzative divenendo Fiduciaria dei Fasci femminili dell’Urbe ed in seguito generale di Brigata del Servizio Ausiliare Femminile. Donna dall’anima profonda, amante della lettura e dell’arte, innamorata della vita, credeva fermamente nei valori umani e nel legame comunitario, famosa è la sua visione di comunità: «Non volevo un esercito di amazzoni, ma di ausiliarie, di sorelle dei combattenti». Al suo funerale, Mia Pavolini, la più giovane volontaria del SAF le dedicò disse di lei «Se la vita è movimento, lotta, delusioni, entusiasmo, fede, tenerezza, rabbia o dolore, interessarsi a tutto, sapersi meravigliare, estasiare, commuovere, e saper capire ed aiutare con amore, saper ridere e saper piangere, se tutto ciò è vita, tu eri la vita». E ancora, Samantha Cristoforetti, prima donna italiana astronauta, vivacissima intellettualmente, tenace e laboriosa ha portato il Tricolore laddove l’infinito si fonde con il mistero.

Con un misto di talento, duro lavoro e tanta, tantissima fortuna ho potuto realizzare ciò che è quasi impossibile. È infatti un sogno potente, ma insidioso, che la vita mi ha regalato, perché diventare astronauta è una cosa spaventosamente improbabile”. Le sue parole denotano la strada maestra per la realizzazione di qualsiasi obiettivo, ben distante dalle logiche paritarie perché intelligenza, volontà e sacrificio vanno coltivati e non regalate per equità. La diversità va celebrata, non eliminata. Le differenze antropologiche, come insegnano gli esempi sopra citati sono attitudini da elogiare, non da appiattire perché le Donne, come tutti gli Uomini, devono avere il dovere di mettersi in gioco e non il diritto di arrogarsi i podi senza conquistarli.

A differenza dell’inclusività forzata, a sostenere questa tesi non è un’ideologia ma la gaia scienza che descrive e determina le attitudini differenti tra Uomo e Donna, possiamo dunque abbracciare le riflessioni di Pietro Trabucchi, psicoterapeuta, Docente presso il Dipartimento di Neuroscienze e Scienze del movimento dell’Università di Verona, nonché’ referente per la ricerca psicologica delle attività in ambienti estremi presso il CeRISM sulla prestazione umana.

DONNE CON LE SPALLE LARGHE

Articolo di Pietro Trabucchi apparso sul mensile “Correre”

“Una volta precluse dal mondo sportivo oggi le donne sono sempre più presenti nello sport. In che modo le loro differenze di funzionamento cerebrale e psicologico condizionano la prestazione e l’allenamento?”

Che esistano differenze tra uomo e donna (e per fortuna!), lo sapevamo tutti. Che partano dal cervello, forse è un po’ meno noto. Ma mi immagino già le sghignazzate del pubblico maschile: “Differenze tra cervello maschile e femminile? Che uno esiste e l’altro no! Etc. etc..” Mi secca un po’ deludere i miei colleghi di genere, ma la realtà è amara: il cervello femminile non solo esiste, ma è più sofisticato di quello maschile.

Ad esempio, nel cervello femminile, il corpo calloso (una struttura composta da fibre nervose che connettono l’emisfero di destra con quello di sinistra) è molto più complesso. Nella donna, quindi, i due emisferi comunicano più facilmente tra loro. Conseguenze? L’uomo tende ad elaborare la realtà basandosi soprattutto sull’emisfero sinistro, razionale, logico e rigidamente lineare. La donna utilizza in misura maggiore l’emisfero destro che permette di compiere operazioni mentali in parallelo, ed è più legato alla sfera emozionale e al linguaggio analogico. Il celebre “intuito” femminile si basa proprio su questo: sulla possibilità del cervello di elaborare la realtà in modi diversi e paralleli.

Vantaggi? In situazioni complesse è avvantaggiata la donna, perché il cervello femminile è meno “rigido” e quindi è portato ad analizzare uno spettro più ampio di dati e possibilità. Il cervello maschile è favorito in situazioni semplici e collaudate. Se il primo è come una fuoriserie – un po’ delicata ma capaci di prestazioni strabilianti – il secondo ricorda di più un trattore: semplice, robusto, inarrestabile, ma limitato. Oltre al corpo calloso, le ricerche hanno evidenziato che nella donna una zona dei lobi frontali è più attiva: è un’area legata ai processi decisionali, molto connessa alle cosiddette aree “limbiche”, la sede dell’emotività. Il processo decisionale delle donne è quindi influenzato emotivamente in misura maggiore rispetto a quello degli uomini.

La donna è anche diversa nella capacità di reagire allo stress: da un punto di vista cardiocircolatorio risulta più protetta, in virtù di una più alta concentrazione di estrogeni, ormoni che hanno un’azione protettiva sulle arterie. Da un punto di vista psicologico le donne tendono ad affrontare i problemi ricorrendo di più al supporto sociale o gestendo le emozioni negative, mentre i maschi tendono a concentrarsi maggiormente sulla soluzione del problema in sé. Lo stile femminile risulta spesso vantaggioso. Ma nel mondo dello sport la donna riesce ad esprimere tutti questi vantaggi? La mia opinione personale è che la donna non esprima tutto il suo potenziale; che spesso si tradisca da sé.

Ma è solo questione di tempo. Solo qualche decina di anni fa, la donna sportiva suscitava preoccupazioni inerenti la propria salute mentale. Qualche mio collega di allora si era preso perfino la briga di scomodare le divinità latine e di inventarsi il Complesso di Diana: “persistenza nella personalità – fondamentalmente sana – di un nucleo di affermazione maschile che rasenta il rifiuto della femminilità”. Come dire: se ti piace lo sport, non sei del tutto donna. Santi Numi! Per esprimere tutto il loro potenziale occorre però che le donne apprendano a governare alcune aree critiche:

1. Gestire l’emotività. Come detto a proposito del cervello, la donna tende ad elaborare la realtà in maniera più emotiva dell’uomo. Questo vale ovviamente anche per la prestazione sportiva. Secondo molte statistiche l’iperemotività e i disturbi d’ansia legati alla gara sono molto più diffusi nella popolazione atletica femminile.
2. Rapporto con l’allenatore. Eh, non pensate subito male! Intendo dire i “normali rapporti” con il tecnico. Nello sport di alto livello la maggior parte dei tecnici sono uomini. Negli anni ho assistito a tantissimi casi di conflitto tra l’atleta donna e il suo tecnico: da gente che usciva dalle squadre, a chi mandava lettere in Federazione, a chi semplicemente con il tecnico non ci parlava. Troppi esempi per essere un semplice casualità, o qualcosa di imputabile esclusivamente a caratteristiche dell’allenatore. Credo invece che esista un meccanismo del genere- ovviamente valido nel caso delle atlete di alto livello che vivono per mesi lontano dalla famiglia: il tecnico finisce per essere vissuto –quasi sempre inconsciamente- come un sostituto genitoriale. Ovviamente si tratta di un sostituto molto frustrante (anche se per ruolo e non per scelta) e che finisce per catalizzare su di sé tutta l’aggressività dell’atleta. O la gelosia.
3. Rapporto con le compagne. Eh sì, le donne sono culturalmente meno abituate a vivere la competitività e quando lo fanno la vivono in modo molto più diretto. Le mie esperienze di odi reciproci dichiarati e manifesti all’interno di squadre sportive riguardano solo donne. Ma anche quando è assente la componente di negatività verso le altre, rimane spesso una difficoltà di base ad instaurare rapporti interpersonali. Non potrò mai scordare una giornata passata con tre ragazzine apparentemente mute, in quanto incapaci di parlarsi, appartenenti ad una squadra Nazionale giovanile. Tra l’altro, essendo lo stile femminile di risposta allo stress molto basato sul sostegno sociale, queste ragazzine finiscono per privarsi di un’importantissima arma reciproca di sopravvivenza.