Arte e Fascismo: recensione del libro di Vittorio Sgarbi

Feb 12, 2025

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Tra i tanti libri usciti nel 2024, desidero segnalare “Arte e Fascismo” di Vittorio Sgarbi, un piccolo volume pubblicato da “La nave di Teseo”, per la quale Sgarbi aveva già pubblicato il doppio volume sull’arte del Novecento. “Arte e Fascismo”, è impreziosito da una prefazione di Pierluigi Battista. Ci tengo a precisare che non è un libro apologeta, tanto che Sgarbi ci ha tenuto a incorniciare il titolo con un soprattitolo “Nell’arte non c’è fascismo” e un sottotitolo “Nel fascismo non c’è arte”. Delle precisazioni che Sgarbi ha voluto appiccicare, forse per evitare polemiche, o peggio, censure, e che a me personalmente sono apparse delle “stecche”, sebbene il libro sia molto bello e ne consiglio a tutti la lettura. E le precisazioni di Sgarbi vanno “contestualizzate”, altrimenti si rischia di fraintendere il senso del discorso del critico d’arte. Certo, Sgarbi è un liberale, non certo un fascista, ma non nega che sia esistita (e possa ancora esistere) una cultura fascista, spontanea, e non frutto di una coercizione, il concetto che Sgarbi desidera veicolare è che il “potere politico” (ma alla postilla sgarbiana potremmo aggiungere anche il “potere economico”) è l’opposto dell’arte, ma non c’è arte che il potere politico (in questo caso, fascista) possa limitare.

L’artista può fare qualunque cosa gli chieda il potere, ma la sua idea sarà più forte di quel potere. Concetto semplice e corretto, ma che ovviamente vale – e avremmo preferito che Sgarbi, con un minimo di coraggio in più, precisasse – anche per il comunismo, o qualsiasi ideologia politica. E aggiungiamo il potere religioso: pensiamo all’arte nel Medioevo o nel Rinascimento, arte che era al servizio della Chiesa cattolica e degli aristocratici, ma che non ha impedito agli artisti di essere liberi di esprimere le loro idee che hanno sempre travalicato la commissione affidati.

Scrive Pierluigi Battista: “Un crocevia di dimenticanze e di rimozioni ha reso difficile la ricostruzione dello stato dell’arte durante il Fascismo. Ci sono voluti decenni, ma alla fine la verità storica si impone. Per capire chi siamo stati, come siamo stati e a quale storia apparteniamo”.

Gli stessi anni del Ventennio, sono il tempo di “Valori Plastici” e di “Novecento”, del gruppo di artisti che si raccoglie attorno a Margherita Sarfatti: una tale ricchezza di esperienze e di sperimentazioni creative, autori e circoli, che hanno fatto dire a una grande studiosa, Elena Pontiggia: “gli anni Trenta non sono stati un decennio, mi fanno pensare a un secolo”.

Sgarbi racconta il Futurismo, movimento d’avanguardia artistica al quale è stata dedicata una grande mostra su iniziativa dell’ex Ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, e portata avanti dal neo ministro Alessandro Giuli, una mostra che ha riscosso grande successo, nonostante tutti i tentativi delle opposizioni progressiste di boicottare o di ridimensionarne l’importanza.

Ma il futurismo, nel volume di Sgarbi, è solo l’inizio: Sgarbi distingue l’espressione artistica dal potere e per questo, a fianco di de Chirico, Morandi, Martini, Sgarbi salva dall’oblio, Wildt, Guidi, la grande stagione dell’architettura e della grafica, ma pure Depero, e oltre, fino alla rivelazione di due scultori formidabili mai apparsi all’onore della critica, Biagio Poidimani e Domenico Ponzi.

Il tema della valorizzazione dell’arte e della cultura fascista, era già stato introdotto da Sgarbi nel già citato doppio volume d’arte “Novecento”, ma in “Arte e Fascismo” lo approfondisce concentrandosi unicamente su questo imprescindibile legame tra cultura e ideologia fascista del Ventennio. E Sgarbi chiarisce senza equivoci che la “rimozione” della memoria artistico-culturale di quel periodo è causata dalla censura preventiva nei confronti di tutto ciò che è legato a Mussolini e al fascismo, tabù che non ha ragione d’essere.

Sgarbi poi passa a descrivere l’esperienza di Fortunato Depero, “fascista così convinto da immaginare una “Officina d’arte fascista Depero”, di cui resta una notevole corrispondenza indirizzata tra l’altro al ministero per la stampa e la propaganda”.

Sgarbi descrive il confronto/scontro tra Premio Bergamo (voluto da Giuseppe Bottai) e Premio Cremona (voluto da Roberto Farinacci), il primo più “libero”, il secondo più allineato col regime. E qui già comprendiamo che il fascismo fu un autoritarismo, ma non un totalitarismo; c’era una vivace dialettica al suo interno, e Sgarbi infrange anche un altro tabù, ovvero, nega che le opere del Premio Cremona fossero di scarso valore artistico-culturale e biecamente propagandistiche. Nessuno obbligava questi artisti a realizzare opere di propaganda. Non c’era propaganda, erano semplicemente artisti che spontaneamente credevano negli ideali fascisti. Scrive Sgarbi:”Se l’errore di Hitler e di Goebbels fu di avere considerato “degenerati” i principali movimenti di avanguardia del Novecento, come il cubismo, l’espressionismo, il dadaismo, il surrealismo, la Nuova oggettività, l’errore altrettanto grave della critica italiana è simmetrico: nel culto delle avanguardie, ritenere le opere concepite durante il regime, in particolare proprio quelle del Premio Cremona, impresentabili, reazionarie, indegne di attenzione critica”. Più che un errore come dice Sgarbi, direi si trattò di faziosità ideologica progressista e antifascista.

Parole nette quelle di un intellettuale come Sgarbi, di Destra, ma non certo fascista. E il critico snocciola nomi dei grandi artisti impegnati per i valori fascisti, da Mario Sironi (forse il più grande del periodo), Achille Funi, Anselmo Bucci, Adolfo Wildt, Virgilio Guidi, Fortunato Depero, Ubaldo Oppi, Giorgio de Chirico, Antonio Giuseppe Santagata, Giorgio Morandi, Domenico Ponzi, Dulio Cambellotti, Carlo Carrà, Eugenio Baroni, Biagio Poidimani Adalberto Libera, Rodolfo Villani, Marcello Dudovich, Cesare Maggi, Donato Frisia, Mario Biazzi Giorgio Quaroni, Virgilio Carmignani, Pina Sacconaghi, Pietro Gaudenzi, Bruno Amadio, Gian Giacomo Dal Forno, Renato Di Bosso, Luigi Panarella Amos Nattini.

Essendo un libro d’arte, ovviamente, il testo, molto profondo ma facilmente accessibile al lettore, è naturalmente arricchito da numerose immagini delle opere del periodo.

Un libro che vale la pena leggere per sfatare la menzogna che il fascismo sia stato “incolto”, ma al quale io mi permetto – rettificando Sgarbi – che se è vero che l’artista “trascende” l’ideologia e il potere, non è affatto vero che “nell’arte non c’è fascismo e nel fascismo non c’è arte”. Ci fu un’arte e una cultura, spontaneamente fascista. Ci fu e ci può essere oggi e domani.

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