Nel momento in cui scrivo questo articolo, è esattamente il “day after” della notte dei David di Donatello. Dico – con indignazione – “day after”, perché è come uscire da una “catastrofe culturale”, se vogliamo ancora continuare a considerare il cinema un’arte (popolare), e quindi una forma di cultura di massa. Le condizioni del cinema in Italia e nel mondo, sono disastrose. Hollywood ci propina ormai da tempo serie infinite di pellicole sui supereroi che danno ormai alla nausea, tutti uguali, un cinema ormai da tempo, troppo tempo, ingoiato dal meccanismo commerciale del cinema di facile fruizione, indirizzato ad un pubblico di adolescenti e di adulti incolti. Oltre ciò, incombe sempre più, nel cinema americano la dittatura del “Woke”, che in nome di un’ideologia “liberal”– che come tale dovrebbe essere antiproibizionista – in realtà impone una censura al rovescio, ove viene proibito tutto ciò che non è “politicamente corretto”, una repressione della libertà di pensiero e di espressione artistica che si sta diffondendo in tutto il mondo e che sfocia nella iconoclastia della cancel culture. Una censura progressista che da una parte impone con forme aggressive di persuasione pseudo-culturale i principi dei «nuovi diritti civili» basati su tesi come la teoria gender, dall’altra, proibisce tutto ciò che esprime un principio etico e culturale opposto. Possiamo semplicemente definirlo un “Reazionarismo progressista”.
In Italia le cose non vanno meglio, più che il problema del cinema “commerciale” hollywoodiano, abbiamo il problema opposto, “filmetti pseudo-intellettualoidi”, che registi e sceneggiatori di area progressista e democratica si producano (con fondi pubblici elargiti a gran profusione), se li girano, se li guardano e se li premiano. Non deve stupire l’esito della serata dei David di Donatello, dove ad esser premiati, sono film come “Io capitano” di Matteo Garrone (una paccottiglia sull’accoglienza degli immigrati da soccorre, ergo, un film di propaganda contro il governo attuale), “C’è sempre domani”, opera prima di Paola Cortellesi che con la scusa di denunciare lodevolmente la violenza di genere e il maschilismo di un tempo ormai molto lontano, ci rifila la filippica contro un patriarcato – secondo lei – ancora vigente, e pazienza se al governo abbiamo il primo Premier donna ed è di Destra, non di Sinistra (e qualcuno dovrebbe pur aver l’onestà, se non la decenza, di dire alla Cortellesi che se l’idea di girare il film in bianco e nero era buona, permettetemi, di fotografia me ne intendo, si tratta di un bianco e nero orrido, fotograficamente squallido e ridicoli sono i paragoni con “Roma città aperta”). Altro film premiato – non poteva essere diversamente – “Rapito” di Marco Bellocchio, un film ferocemente anticlericale che insinua posizioni antisemite da parte della Chiesa cattolica (peccato che un certo antisemitismo di “ritorno” sembra essere più presente in frange radicali di Estrema Sinistra, che – malgrado le sacrosante ragioni che hanno i palestinesi – tendono a confondere cinicamente e subdolamente, palestinesi e terroristi di Hamas). Altri film in gara, non si discostavano ideologicamente: tutti comunisti al caviale!
Ora mi chiedo: ma davvero pensiamo che chi ha la passione per fare la regia o la sceneggiatura cinematografica, sia esclusivamente di Sinistra? Accoglienza dei clandestini, attacco al patriarcato, feroci arringhe alla Chiesa cattolica, sono le uniche tematiche possibili per il cinema? Non può il cinema anche affrontare temi alternativi? Esaltare valori come, “Dio, Patria e famiglia” per dirla in modo semplicistico? Eccezioni ci sono: per esempio Pupi Avati è dichiaratamente un “cattolico conservatore”, e si è detto pubblicamente contro matrimoni e adozioni gay. Tanto è bastato che da anni e anni non riceve più un premio. Eppure non ci sembra che un Avati meriti meno di un Moretti, casomai è vero l’opposto, a mio modesto parere. Anni fa, Avati ebbe il coraggio di scrivere e dirigere un film come “Il papà di Giovanna”, che non fu certo apologeta del fascismo, ma mostrava – in maniera inedita – che c’erano brave persone anche tra i fascisti (vedi il personaggio interpretato da Ezio Greggio) e farabutti anche da parte di una certa partigianeria, soprattutto, comunista. Scandalo! Avati è un fascio! Almeno secondo l’intellighenzia della Sinistra radical-chic (o radical-choc, considerando le tesi aberranti che ormai portano avanti con le loro battaglie di persuasione culturale). Non è un caso che il Governo Meloni, abbia chiesto ad Avati di svolgere il ruolo di consulente per le “tematiche afferenti al settore della cultura”, ruolo che Avati ha accettato. E non è un caso che Avati abbia realizzato un film come “Dante” (il Ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano ha avuto l’ardire provocatorio di far risalire le origini della cultura di Destra, proprio da Dante), e mentre scrivo, Avati starebbe preparando la sua ultima fatica cinematografica dedicata alla figura di Benedetto Croce, filosofo idealista liberale, non certo assimilabile alla cultura di Sinistra.
Ma penetrare la scorza dell’egemonia culturale di gramsciana memoria non è affatto semplice, anche se il Governo Meloni ci sta provando (a differenza di tutti i governi di Centrodestra guidati da Silvio Berlusconi che dell’aspetto culturale se ne infischiavano altamente). In un articolo al vetriolo di “la Repubblica”, il quotidiano più a Sinistra d’Italia, urlava allo scandalo, perché, a suo avviso, Gennaro Sangiuliano starebbe cercando di mettere le mani dell’Accademia del Cinema Italiano, che a sua volta, controlla i David di Donatello. Dov’è lo scandalo? Chi è l’attuale presidente dell’Accademia del Cinema Italiano? Risposta: Piera Detassis, giornalista, saggista e critica cinematografica che in passato ha collaborato con “L’Unità” e “Il manifesto”. Possiamo nutrire dubbi sulle sue convinzioni ideologiche? Ella è piazzata su quella poltrona dal 2018 e chi l’ha preceduta erano presidenti di identiche convinzioni ideologiche-politiche. Dobbiamo pensare che solo intellettuali progressisti siano capaci di ricoprire tali posizioni? Come già detto, se le cose stanno così, non possiamo stupirci che i film italiani (per lo più brutti e noiosi), siano tutti di Sinistra, film che si producano, si girano, si guardano e si premiano tra loro. È una “casta” chiusa in sé stessa, una specie di Loggia finora impenetrabile, dovuta all’aggressività progressista a penetrare gramscianamente in tutti i settori culturali del Paese, e al colpevole disinteresse da parte della Democrazia cristiana prima, e dei Centrodestra berlusconiani dopo, a invertire la tendenza.
Nessuno pretende di rovesciare l’egemonia, da rossa a blu (o nera, fate voi), bensì ad un equilibrio più equo tra diverse vedute ideali. Quindi bene fa Sangiuliano a fare pressioni perché cambiano i vertici dell’Accademia del Cinema Italiano e non solo. Ovviamente, questo non è sufficiente. Per premiare (anche) film di Destra, occorre che questi film di Destra esistano, significa cercare a Destra persone interessate e capaci (ripeto, capaci) di realizzare dei bei film e che non si limitino alla “neutralità ideologia”, ma siano motivati ad esprimere attraverso il cinema ideali di Destra. Quando dico, Destra, lo intendo in tutte le sue possibili sfaccettature, cattoliche, laiche, liberali, conservatrici, e perché no, “a-fasciste”. Muoviamoci, perché la “Cappa” (per usare il titolo di un eccellente saggio di Marcello Veneziani di grande successo editoriale) è soffocante, ed è tempo di “squarciarla”.